Sei un sito di destra? In Germania ti tolgono la pubblicità
20 Maggio 2017
Gerald Hensel, faccetta da nerd alla moda e il sorrisino compiaciuto che fa tanto berlinese, è direttore esecutivo di una delle più prestigiose aziende pubblicitarie tedesche d’Europa, la Scholz & Friends, e fondatore di fearlnessdemocracy.org – dicitura che suona come più o meno come “democrazia senza paura”. Un giorno il signor Hensel si è svegliato e ha deciso di lanciare la sua guerra alla libertà di espressione. “Niente soldi per la destra” è lo slogan che si è inventato. Nella folle insalata del quarto potere liberal, dove l’antirazzismo è l’ingrediente principale, la “nuova” – si fa per dire – tecnica di promozione è l’identificazione del nemico del popolo. E’ così che per il signor Hensel il discorso si è fatto molto semplice. I siti di destra, quelli, per intendersi, che usano criticare il governo della Merkel per le sue politiche in materia di immigrazione o per il mito – abbondantemente sbugiardato – del surriscaldamento globale, dovrebbero essere tagliati fuori dalle entrate pubblicitarie. Perché privati di pubblicità si resta anche fuori dal mondo degli affari: senza quei soldi è più difficile che certe opinioni vengano messe in circolazione.
Nel suo blog personale, su cui campeggia una stella rossa che rievoca reminiscenze sovietiche, Hensel ha illustrato la sua elementare strategia che consiste nell’esortare gli utenti ad esercitare pressione sulle società pubblicitarie allo scopo di non far comparire inserzioni su blog o giornali identificabili come “di destra”. Di solito i grandi marchi che vogliono farsi un po’ di pubblicità su internet non usano contattare direttamente i siti web, ma si servono dei programmi informatici utili a riconoscere gli interessi in base al comportamento di ricerca dell’utente. Ma se si iniziano a firmare petizioni e a mandare email, il sito viene bloccato e fine delle storia. Com’è successo, nel giro di pochi giorni, ad uno dei più popolari blog politici tedeschi, “Achse des Guten” (Asse del Bene), che ogni giorno racconta della follia di politici e giornalisti tedeschi, e che ha perso tutta la sua pubblicità. Le agenzie pubblicitarie hanno, molto semplicemente, tagliato il sito web dai loro annunci. Da tempo sulle agenzie pubblicitarie pende la spada di Damocle di una minaccia bella e buona: “se non fai quello che diciamo, tutti sapranno che fai pubblicità per la ‘destra’, e sappiamo cosa questo può significare per il vostro business”, e questo non succede solo in Germania. L’idea di essere etichettati come simpatizzanti dell’ ‘ala destra’ fa paura, si sa. L’argomento standard è che una società deve essere libera di scegliere dove mettere i propri annunci pubblicitari, e la censura, con tutto questo, non c’entra un bel niente.
Il concetto di libertà di espressione viene mistificato e diventa utile alla “causa” solo in alcune circostanze. Basta leggere le petizioni che questi attivisti hanno inoltrato ad Amazon, per esempio, perché boicottasse Breitbart, il sito di notizie americano balzato agli onori della cronaca perché espressione della nuova destra e del trumpismo. “Gli inserzionisti di Breitbart stanno cadendo come mosche … Il potere della gente ha già costretto BMW, T-Mobile e Kellogg e centinaia di altre società ad abbandonare Breitbart – e ora ci accingiamo a costringere Amazon a seguirne l’esempio: vanno messi anche loro sotto pressione. Se ci uniamo possiamo fare in modo che Amazon non ci ignori”. Attivisti come questi agiscono sotto lo stendardo del bene comune, sbandierando la pretesa di vedere le proprie esigenze ‘etiche‘ legittimate. Eppure il loro atteggiamento è esattamente quello del mafioso nei confronti del proprietario del negozio che si rifiuti di pagare il pizzo. Un boicottaggio isterico paradossale.
Come si può pensare di respingere 36 milioni di liberi americani – sono questi gli utenti del sito di notizie identificato come trumpista – e dirsi democratici? E poco male se in ballo c’è la libertà di parola, quel che conta è che certe idee non passino. L’antiamericanismo, di nuovo in auge dopo il pensionamento di Obama, e l’antitrumpismo sono lo scopo. Con una polizia del pensiero e della morale che, ormai, hanno ampio margine di movimento. E di censura ne sa qualcosa anche Akif Pirincci, uno dei più famosi e controversi scrittori di lingua tedesca degli ultimi decenni. Di origini turche, con la sua parlantina provocante era diventato presto uno dei più richiesti ospiti delle trasmissioni televisive in Germania. Fino a quando l’anno scorso è stato letteralmente bandito dalla vita accademica e pubblica del Paese in seguito ad un discorso tenuto a Dresda sul palco di Pegida – Patrioti Europei contro l’islamizzazione dell’Occidente. Osò in quell’occasione paragonare il sistema tedesco dei nostri giorni ai campi di concentramento. Il resto potete immaginarlo da voi. In un batter d’occhio i media hanno calato le saracinesche.
Goccia che fece traboccare il vaso già riempito dalle critiche al governo della Cancelliera, alla sua immigrazione di massa e alla cosiddetta “teoria del gender“. “Sono stato completamente isolato. I miei libri non si trovano più da nessuna parte, neanche su internet. La libertà di espressione in Germania è una presa in giro”. Chi è il sorvegliato speciale? Tutti quelli che non sono d’accordo sul fatto che sia giusto tacciare di razzismo l’ ‘ala destra‘. Al via, così, la pulizia etnica del pensiero. Il mondo è brutto sporco, cattivo, e pure un po’ di destra, ma loro lo ripuliranno.