Senato respinge sfiducia, Renzi salvato di nuovo da Verdini

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Senato respinge sfiducia, Renzi salvato di nuovo da Verdini

20 Aprile 2016

Ieri il governo ha incassato la fiducia al Senato, grazie al voto, ormai scontato, dei verdiniani. Le mozioni di sfiducia presentate da M5S (183 voti) e Centrodestra (180) non bastano a mettere nell’angolo la maggioranza. Oggi, esponenti di M5S andranno al Colle, da Mattarella, per ribadire che ormai, con l’ingresso di Ala in maggioranza, questo governo ha assunto una nuova forma e bisogna tenerne conto.

Renzi risponde alle accuse delle opposizioni sull’inchiesta petrolio e più in generale sull’operato del governo, parla di “barbarie giustizialista” e se la prende con “i giustizialisti a senso unico”. Parole salutate dagli applausi di una parte di Forza Italia. M5S protesta ma senza scene madri, solo qualche commento ad alta voce in tema di giustizia. Nell’intervento del premier e del gruppo Pd si insiste molto sulla giustizia: la dichiarazione di voto per i dem viene affidata al senatore Salvatore Margiotta, condannato per corruzione e turbativa d’asta per un’inchiesta sul petrolio in Basilicata, autosospesosi dal partito, scagionato in Cassazione che ha annullato la condanna in secondo grado senza rinvio.

Renzi spiega che nell’inchiesta “Tempa Rossa” non c’è alcuna accusa corruzione e annuncia querele per diffamazione contro M5S, poi se la prende con “i talk show, i media e i social che non sono l’Italia”. Concluso l’intervento, il premier esce salutando proprio Verdini. Da Forza Italia, duro commento di Maurizio Gasparri, “non prendiamo lezioncine di alcun tipo”, soprattutto “sul garantismo”. Nessuna lezione visto che la riforma delle intercettazioni andava fatta, già da tempo.

Pur non entrando nel merito della inchiesta di Potenza, e “fatti salvi il garantismo e la presunzione di non colpevolezza nella quale tutto crediamo”, la vicenda Tempa Rossa, secondo il Senatore Quagliariello (Idea) “ha reso ancor più oscura e indecifrabile – o fin troppo decifrabile! – la categoria della ‘opportunità politica’ che ha fin qui guidato l’approccio del presidente del Consiglio alle vicende giudiziarie che hanno riguardato o lambito membri del suo esecutivo”.

“In queste settimane abbiamo infatti visto prima un ministro non indagato – l’ennesimo – dimettersi per opportunità politica per un’intercettazione riguardante un emendamento del governo, e solo il giorno dopo il premier assumersi la responsabilità di quel testo: ‘l’emendamento c’est moi!'”, dice Quagliariello. “In seguito si è appreso del coinvolgimento nell’inchiesta di un sottosegretario, stavolta come indagato, e in nome della presunzione di innocenza il problema non è stato proprio posto”.

“Io sono sempre stato contrario – contrarissimo – all’automatismo per cui l’iscrizione sul registro degli indagati debba comportare obbligatoriamente le dimissioni, perché significherebbe demandare agli inquirenti la selezione della classe politica prima ancora della celebrazione di un processo e privare la politica della sua autonomia di giudizio,” prosegue Quagliariello. “Ma mi sembra che ormai siamo al paradosso per il quale per evitare le dimissioni si debba attendere l’avviso di garanzia”.

“Se non sono indagato la mia sorte è appesa alla categoria dell’opportunità politica, applicata dal presidente del Consiglio con una certa – diciamo così – elasticità. Se vengo inquisito posso tirare un sospiro di sollievo perché finisce l’alea dell’opportunità politica e scatta il garantismo che mi blinda al mio posto. Ormai chi è al governo ed è lambito da un’inchiesta, l’avviso di garanzia deve quasi augurarselo! Tutto ciò è paradossale e, se mi consente, anche abbastanza ridicolo”.

Renzi non la prende bene e replica: “Le sentenze della magistratura di Potenza noi speriamo che possano andare a giudizio in primo secondo e terzo grado”. “Finchè c’è questa carta costituzionale, caro senatore Quagliariello, le sentenze sono quelle che passano in giudicato. Le indagini del 2001, quelle del 2008 non avranno una sentenza in giudicato. Io da cittadino sono triste”, dice il premier.

Pronta la risposta di Quagliariello: “Il presidente del Consiglio mi taccia di superficialità ma la critica che mi muove è estremamente superficiale”. “Avevo ironizzato in aula – prosegue – sulla sfortuna di aver accusato i magistrati di non giungere a sentenza proprio poche ore prima di una sentenza del tribunale di Potenza, e lui mi contesta affermando che le sentenze secondo la Costituzione sono solo quelle passate in giudicato”.

“Tanto per cominciare, anche le sentenze di primo e secondo grado se non impugnate passano in giudicato. In secondo luogo, è sufficiente una lettura ‘superficiale’ dell’articolo 111 per capire che la Carta costituzionale qualifica come sentenze anche quelle emesse prima del giudizio di Cassazione. Non a caso, e non vorrei innervosire ulteriormente il premier con la citazione, a fargli notare prima di me la sfortunata tempistica della battuta sui magistrati di Potenza era stato Michele Emiliano, che di procedimenti giudiziari forse un po’ mastica”.

“Se è invece alla presunzione di non colpevolezza che il premier intendeva superficialmente riferirsi, quella sì che vale fino a sentenza definitiva, ma allora mi duole segnalargli che ha sbagliato esempio. Come lo stesso Renzi ha rammentato, infatti, è bastata una sentenza non definitiva per far sospendere il senatore Margiotta dal gruppo Pd e spedirlo nei ‘territori d’oltremare’ di Area Popolare, ed è servita la Cassazione per riportarlo sulla terraferma democratica. Alla faccia della presunzione di innocenza. Superficiale anche stavolta, come quando dice – conclude Quagliariello – che per il governo italiano Eni e Total pari sono”.