Sentire che succede nelle università dell’Iran mette i brividi

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Sentire che succede nelle università dell’Iran mette i brividi

03 Settembre 2010

Una settimana fa è stato il supremo leader della rivoluzione, l’Ayatollah Seyyid Ali Khamaney in persona, ad annunciare nel corso di un incontro con gli studenti dell’Università di Teheran che non saranno più ammesse deviazioni dall’ortodossia dei valori islamici. Il Governo reagirà con fermezza, ha aggiunto, al tentativo dei nemici dell’Iran di inquinare le istituzioni accademiche con il veleno del pensiero occidentale.

Gli ha subito fatto eco il Direttore Generale dell’Istruzione Superiore iraniana, Abolfazl Hassani, con la decisione di restringere l’accesso agli studi universitari specie agli studenti di discipline umanistiche (che sarebbero addirittura due terzi dell’intero corpus studentesco) a suo dire sempre più intrisi ultimamente di scetticismo e dubbi verso i più sacri principi dell’Islam clericale.

Per il Ministro della Ricerca scientifica e tecnologica, Kamran Daneshjou, non ci sono dubbi: è in corso un piano di invasione culturale delle Università iraniane da parte dei nemici del Paese a cui il Governo reagirà con fermezza e decisione, sottoponendo a severi controlli tutto il mondo accademico, compresi gli amministratori ed i responsabili dei curricula di ogni disciplina. Con punizioni esemplari per tutti i non allineati: che vanno dal pensionamento forzato al licenziamento in tronco dei docenti non disposti a seguire pedissequamente le direttive governative in tema di metodi e contenuti didattici, alla repressione di chi dissente apertamente, in aula o in piazza. Come è successo il 20 agosto a Kassoul Badaghi, un dirigente dell’Associazione Nazionale degli Insegnanti, prima arrestato e poi condannato a sei anni di reclusione per aver partecipato ad una pubblica manifestazione di protesta.

In realtà, quelle di questi ultimo giorni sono solo la punta di un iceberg: di nuovo, rispetto al passato, c’è solo la nuova tesi del complotto internazionale ordito degli odiati Occidentali. Già l’anno scorso, una cinquantina di professori di chiara fama erano stati costretti da un apposito provvedimento governativo ad andarsene in pensione con anticipo. Un’altra settantina di docenti erano poi stati arrestati ed incarcerati, dopo le elezioni presidenziali di giugno 2009, solo perchè avevano partecipato ad una riunione con il candidato sconfitto dell’opposizione Hossein Moussavi.

A marzo di quest’anno, sempre il Ministro dell’Istruzione scientifica Daneshjou insisteva con durezza inaudita sulla necessità inderogabile ed impegnativa per tutti di combattere la diffusione del secolarismo laicista e di rintuzzare ogni offesa alla sensibilita’ religiosa del Paese proveniente da qualsiasi pulpito: “La maggior parte dei Docenti è con noi. Chi non è d’accordo con gli orientamenti della Rivoluzione deve andarsene via”. Poco dopo questo proclama, alla fine di aprile scorso erano già più di venti i professori universitari privati della loro cattedra dalle Autorità per inadempienza verso le direttive del Regime.

Tutti questi provvedimenti autoritari del Regime sono anticostituzionali perchè in aperta violazione degli articoli 3, 22 e 25 tuttora in vigore, che tutelano la libertà di pensiero ed il diritto alla critica pacificamente espressa. Una campagna internazionale di stampa e solidarietà è in corso per la salvaguardia dei Diritti Umani in Iran. Gli appelli e le manifestazioni di sostegno ai dissidenti non mancano (anche da noi in Italia, specie tra gli studenti che frequentano le nostre Università).

L’aspetto più grave per i cittadini di questo grande Paese un tempo all’avanguardia in diverse discipline scientifiche, è che la qualità accademica delle sue istituzioni formative sta subendo un costante processo di degrado difficilmente recuperabile. Gli standard iraniani, sia per risultati della ricerca che per qualità formative, sono ormai stati superati da quelli di Paesi fino a ieri meno competitivi come l’Arabia Saudita (con la King Saud University e la King Abdullah University of Science and Technology di Jeddah in cima alla classifica).

Ed a pagarne le conseguenze saranno le più giovani generazioni: con il 20 % dei cittadini al di sotto dei 14 anni e con una età media complessiva di 27 anni, l’Iran è un Paese con un’alta percentuale di popolazione giovanile. Difficilmente queste future leve troveranno un’adeguata collocazione una volta immessi nella dura competizione del mercato globale. E I responsabili di questo scempio saranno coloro i quali oggi non esitano ad emarginare le migliori menti scientifiche, gli educatori più meritevoli e gli studenti più promettenti solo perchè non accettano le imposizioni restrittive di un regime anacronistico e oscurantista.