Senza sponda con il Cav. Veltroni lascia spazio a D’Alema

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Senza sponda con il Cav. Veltroni lascia spazio a D’Alema

24 Giugno 2008

Ad Arturo Parisi è sempre piaciuto fare la parte del guastafeste, del bambino che annuncia a voce alta che il re è nudo. E’ stato lui, in questi anni, l’ispiratore di tutti i gesti di rottura e gli strappi con cui Romano Prodi denunciava le resistenze degli apparati di Ds e Margherita contro il suo progetto ulivista e contro la sua leadership. Oggi Parisi, nel chiedere solitario e a gran voce che Walter Veltroni lasci la guida del Pd, accusa di “slealtà” l’intero gruppo dirigente del principale partito di opposizione, nel quale – assicura – “tutti dicono in privato” quel che lui solo dice in pubblico. Il politburo del Pd, insomma, vorrebbe anch’esso liberarsi del leader investito dalle primarie appena un anno e mezzo fa, ma invece di dirlo e aprire una crisi ufficiale preferisce logorarlo lentamente e aspettare che si “dissangui”. Apparentemente, però, oggi il Pd appare ricompattato – almeno sulla carta – attorno al segretario. Le conclusioni dell’Assemblea costituente di venerdì sono state unanimi, la direzione è stata eletta a maggioranza bulgara, nessuno ha messo apertamente in discussione il capo o la sua linea. Persino Rosi Bindi, fino a qualche tempo fa accesa contestatrice, è prontamente rientrata nei ranghi dopo aver incassato il suo pacchetto di eletti in direzione.

D’Alema, che all’assemblea ha taciuto, fa trapelare per via giornalistica messaggi di incoraggiamento: la sconfitta elettorale era già scritta, Veltroni è riuscito a “fare argine” ad un tracollo che poteva essere anche peggiore. E oggi non è alle viste, assicura tramite indiscrezioni di giornali amici, alcuna resa dei conti: la tregua interna è destinata a durare, almeno fino alle Europee del 2009. Una tregua che, spiegano i dalemiani, è dovuta alla “svolta” imposta dall’ex ministro degli Esteri e accettata dal segretario: la rottura del dialogo con Berlusconi, e il ritorno ad una linea di “opposizione vera”. Quel che sta a cuore a D’Alema, che intanto continua a lavorare alla costruzione della sua corrente (domani verrà lanciata a Roma l’associazione “Red”, che a lui fa capo e che raccoglie un centinaio di parlamentari Pd), è la fine della “illusione” del partito “a vocazione maggioritaria” che è stata la vera innovazione veltroniana. E che portava il segretario del Pd ad essere il naturale interlocutore di Berlusconi in un processo di riforme elettorali ed istituzionali sostanzialmente bipartitiche e presidenzialiste. D’Alema invece è convinto che in uno schema simile il centrodestra finirebbe per prevalere sempre: “In un sistema bipartitico vincerà sempre Berlusconi”. E che il Pd può sperare di tornare al governo solo dentro uno schema “multipartico alla tedesca”, in alleanza con ciò che resta della sinistra e con il centro di Casini, che dunque (come l’ex ministro degli Esteri sta facendo) va blandito e corteggiato per cercare di staccarlo dall’irresistibile attrazione verso destra. Offrendogli intanto una serie di intese locali nelle città dove si voterà il prossimo anno, e nelle regioni dove si voterà nel 2010, e dove, in alleanza con il Pd, l’Udc potrebbe puntare al governo.

La rottura del “dialogo” annunciata da Veltroni serve dunque a sgombrare il campo al dispiegarsi della strategia dalemiana, che punta a fare del Pd il partito “perno” di nuove coalizioni di centro-sinistra con tutto il trattino: in questo quadro, il segretario può anche restare in sella, anche perché non c’è nessun ricambio pronto per l’uso. Resta da vedere se Veltroni si accontenterà di fare il re travicello su una linea diversa da quella da lui scelta, di qui al congresso del 2009 in cui rischia di essere giubilato. O se darà ascolto a chi, nel centrodestra, lo invita a riprendere il cammino interrotto del dialogo, unica carta che può ridargli un ruolo autonomo.