Sergio Ramelli: una storia che ha ancora molto da insegnare

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Sergio Ramelli: una storia che ha ancora molto da insegnare

Sergio Ramelli: una storia che ha ancora molto da insegnare

29 Aprile 2020

È il 29 aprile del 1975 quando Sergio Ramelli, diciottenne milanese, esala l’ultimo respiro.

Si tratta di un militante nel Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano e per capire le motivazioni che lo hanno portato a trovare la morte così giovane occorre fare un passo indietro.

Ramelli frequenta l’Istituto tecnico Molinari di Milano, all’interno del quale esprime pubblicamente e liberamente le sue posizioni politiche, così come, del resto, fanno anche altri studenti, sebbene su un versante politico diametralmente opposto al suo.

Un giorno il professore di lettere assegna ai suoi alunni un tema di attualità: Sergio vive in anni turbolenti ed agitati – i cosiddetti “anni di piombo” – pertanto il compito non è affatto semplice. Ad ogni modo, decide di svolgerlo incentrandolo sulle Brigate Rosse: il ragazzo condanna apertamente questa organizzazione facente capo alla sinistra extraparlamentare – riconosciuta, poi, come terroristica –  ed aggiunge anche una critica nei confronti della classe politica di quel periodo, la quale ha fatto mancare il proprio cordoglio istituzionale per la morte di due militanti padovani del Movimento Sociale, rimasti uccisi l’anno precedente proprio durante un assalto delle Brigate Rosse.

A causa di questo tema il ragazzo diviene oggetto di vessazioni di vario genere, poste in essere da un gruppo di studenti del Molinari, rappresentanti di Avanguardia Operaia: per questa ragione Ramelli lascia l’istituto, iniziando a frequentarne uno privato. Nel frattempo, prosegue con l’impegno politico e con la militanza, fino a quel 13 marzo 1975: quel pomeriggio, infatti, viene aggredito sul portone di casa da quattro individui di Avanguardia Operaia, che lo colpiscono ripetutamente alla testa con una chiave inglese hazet-36, lasciandolo a terra moribondo. Dal quel 13 marzo trascorrono esattamente 48 giorni, durante i quali Sergio alterna momenti di coma a momenti di lucidità, fino alla morte.

In quel periodo, però, un ragazzo etichettato come “fascista”, a volte, non trovava pace nemmeno da morto: il suo feretro arriva in chiesa quasi di nascosto, perché le autorità locali vietano il corteo funebre e, come se ciò non bastasse, gli estremisti di sinistra minacciano di usare delle chiavi inglesi anche per colpire eventuali partecipanti. Oggi, Sergio Ramelli riposa nella tomba di famiglia presso il Cimitero maggiore di Lodi.

La sua storia ha molto da insegnare ai giovani che oggi svolgono la loro attività politica: chi è stato capace di provare così tanto odio, da spezzare delle giovani vite con tanta crudeltà deve essere condannato apertamente in ogni sede istituzionale e non. La politica non deve mai più tornare ad essere questo: la politica deve essere dibattito, militanza, ma, soprattutto, rispetto reciproco.