Serve politica non propaganda

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Serve politica non propaganda

29 Novembre 2011

Per quanto sia un indiscusso leader carismatico, Berlusconi non può immaginare di mantenere sostanzialmente integro il suo patrimonio elettorale puntando soltanto sulla propaganda. È di politica che ha più che mai bisogno il centrodestra e l’ex-premier prima se ne convince e meglio è per se stesso e per il suo movimento quale che sia la struttura che si darà nei prossimi mesi. Perciò, continuare ad additare al mondo moderato, come ha fatto a Verona, comunisti immaginari da combattere; rivendicare inesistenti rapporti con la Lega in vista di future alleanze, per farsi smentire dopo pochi secondi da un Calderoli; prefigurare scenari elettorali più o meno imminenti che certo non aiutano il Paese ad avere fiducia nell’imboccare la via che porta fuori dal tunnel, significa votarsi all’impoliticità. Berlusconi forse ne è consapevole, eppure sembra ritenere che giocare sull’ambiguità sia la sola possibilità che ha per restare protagonista.

È probabile che mi sbagli – e lo spero vivamente – ma dalle ultime esternazioni del Cav e da quelle più discrete affidate alla solita cerchia di intimi, emerge l’impressione che non sia affatto convinto dell’avallo dato a Monti e soffra la condizione di subalternità che poi è soltanto una sensazione che di giorno in giorno enfatizza al di là di ogni ragionevole valutazione politica. In realtà il leader del Pdl è verosimilmente centrale nello scenario di questi giorni e lo sarà neI prossimi mesi per il solo fatto che da lui e dal suo partito dipendono la sopravvivenza del governo e le misure che questo adotterà. Berlusconi ha la golden share sull’esecutivo e nello stesso tempo ha la possibilità di orientare attraverso il dialogo con le altre forze parlamentari un percorso che porti alla pacificazione nazionale. Non è poco. Se lui e i suoi collaboratori più stretti se ne convinceranno, il loro movimento in fase di ristrutturazione, come sostiene Alfano, ha ottime probabilità da qui alla primavera del 2013 per rimettersi in carreggiata e competere elettoralmente con la sinistra.

Al contrario, se Berlusconi – consigliato forse da chi vorrebbe l’immediato ritorno alle urne, e con il vigente sistema elettorale, soltanto per garantirsi l’elezione nella certezza della sconfitta del centrodestra – si convincesse che il tentativo Monti dovrebbe avere vita breve, getterebbe il Pdl alle ortiche poiché al suo elettorato niente sta più a cuore in questo momento che il risanamento economico e un minimo di stabilità nella speranza che, nel contempo, le istituzioni europee vengano profondamente ripensate e nasca in tempi relativamente brevi un’Unione politica capace di sostenere una moneta che avrebbe dovuto essere l’approdo dell’integrazione continentale e non il presupposto. Questo errore lo stiamo pagando assai caro. Il centrodestra italiano, che l’europeismo ce l’ha nel suo codice genetico, potrebbe offrire un contributo di riflessioni e di elaborazioni al superamento dell’impasse, interagendo con il governo Monti ed ispirando soluzioni che pure nel suo ambito nel corso degli anni si sono manifestate per limitare i danni originati dalle incongruenze contenute nella patetica Costituzione europea e dalle contraddizioni del Trattato di Lisbona.

Altro che marginalità del centrodestra. Se questa ancor vasta e vitale area politica riuscisse ad affrancarsi dal risentimento e dallo sterile rivendicazionismo (si può perfino convenire che lo "scippo" politico è stato scientificamente perpetrato con la complice ingenuità della stessa maggioranza che sosteneva il governo), tornerebbero non soltanto i consensi, ma anche l’entusiasmo affievolitosi. Se ne convinca Berlusconi prima di cedere definitivamente alle sirene dell’impoliticità.

(tratto da Il Tempo)