“Serve Presidente della Repubblica di Centrodestra, non sgradito a sinistra”

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“Serve Presidente della Repubblica di Centrodestra, non sgradito a sinistra”

“Serve Presidente della Repubblica di Centrodestra, non sgradito a sinistra”

27 Marzo 2013

Restano poco più di 24 ore per trovare un’intesa. Senatore Gaetano Quagliariello, qual è il punto politico di questa eventuale «collaborazione» tra Pd e Pdl? Tutto comincia e finisce con il nome del successore di Napolitano?

«Il problema non è trovare compromessi o “inciuci”. Si tratta di prendere atto che il risultato elettorale ha visto centrodestra e centrosinistra praticamente alla pari. Con in aggiunta una terza forza (il M5S, ndr) che si è tirata fuori, non una, ma molte volte. A questo punto bisogna capire che esiste qualcosa di superiore ai partiti, ed è l’Italia».

Non le sembra che la visione dell’Italia tra Pd e Pdl sia troppo diversa per comporsi in maniera artificiale?

«È il momento, a mio avviso, di riconoscere che – anche senza cambiare le proprie opinioni e giudizi sugli altri – c’è bisogno di una legittimazione reciproca. Bisogna evitare che a una drammatica crisi economica e di credibilità, e penso alla vicenda dei marò, si aggiunga l’irresponsabilità politica».

Cosa intende per legittimazione?

«È una categoria imponderabile, certo. Guglielmo Ferrero diceva che era prodotta dai geni invisibili della città. Diciamo più concretamente che nessuno può pensare di ritenere l’altra parte impresentabile e contemporaneamente però appellarsi al suo senso di responsabilità».

Per la verità Berlusconi da un lato proclama il proprio senso di responsabilità, ma dall’altro ha già annunciato altre quattro manifestazioni di piazza come rodaggio della campagna elettorale. Non è un po’ ondivago anche questo comportamento?

«Diciamo che dopo il risultato elettorale noi, anche in piazza, abbiamo confermato la nostra disponibilità a un bene superiore. Pur ritenendo che i nostri avversari abbiano le stimmate della vecchia cultura comunista con cui non abbiamo punti in comune».

Perché allora chiamare a raccolta i militanti? Non bastavano le consultazioni e le apparizioni in tv per spiegarlo?

«Il senso della piazza è che la nostra responsabilità ha un limite. Se non ci viene riconosciuto il diritto alla compartecipazione alle istituzioni non c’è più spazio per un dialogo. Una posizione del genere colliderebbe con il principio di realtà, dato lo scarto minimo tra i nostri voti. Vorrebbe dire: “pesiamo uguale ma voi siete illegittimi”. È chiaro che di fronte a questo noi alzeremo i toni».

Dato che l’esperienza del governo Monti non ha in alcun modo avvicinato le posizioni delle forze principali della sua «strana maggioranza», perché non tentare la strada del doppio binario?

«È la stessa strada che si seguì nel ‘47 quando scoppiò la Guerra Fredda. Da un lato il governo, dall’altro la Costituente. Ma allora c’era di mezzo la divisione del mondo in due, oggi è una vicenda tutta italiana».

Ma non sarebbe più “pulito” dal punto di vista della divisione delle responsabilità permettere la nascita di un governo di minoranza?

«Ci si può chiedere “noi vogliamo la responsabilità di governare da soli”. Non ci scandalizziamo. Ma prima vogliamo un segno chiaro e pubblico di legittimazione reciproca. E dopo le scelte fatte ai vertici delle Camere, non resta che un presidente della Repubblica indicato dal centrodestra. Ovviamente non un nome sgradito alla sinistra. Una personalità con le carte in regola dato che non siamo un’area politico-culturale figlia di un dio minore».

E poi?

«A quel punto, una volta messi in comune i geni invisibili della città, ci può anche essere chiesto un atto di disponibilità da parte del Pd: “fateci governare da soli per il bene dell’Italia”. Noi potremmo anche dire: è un errore, ma se ci tenete fatelo».

Secondo lei, questa «legittimazione formale e pubblica» sarebbe un’altra parentesi in un momento emergenziale o potrebbe chiudere una fase e cambiare i rapporti tra i due schieramenti?

«Potrebbe essere un modo per passare dalla dinamica del nemico a quella dell’avversario. Non è questione da poco».

Viceversa, le larghe intese non metterebbero tutta la politica nello stesso calderone a vantaggio del «sono tutti uguali»?

«Nella situazione in cui siamo, si rischia di subire la stessa sorte, tra un mese, per il quadro internazionale. E sarebbe un’altra sconfitta della politica».

(Tratto da L’Unità)