Serve un governo istituzionale
07 Novembre 2011
Qual è l’obiettivo che la politica deve prioritariamente perseguire? Scongiurare il rischio di fallimento che grava sull’economia italiana o salvaguardare la formula della democrazia maggioritaria (che in realtà è una prassi senza regole) dagli intrighi di chi non ha mai digerito la "rivoluzione costituzionale" berlusconiana basata appunto sull’alternanza tra coalizioni?
Nel primo Caso serve un governo di unità nazionale o di larghe intese, capace di adottare tutte le misure necessarie a tranquillizzare gli investitori internazionali, a stabilizzare i conti pubblici e a rilanciare lo sviluppo nel più breve tempo possibile. Nel secondo occorre andare al più presto alle elezioni, affidando al popolo sovrano – e non a manovre parlamentari che sanno tanto di "vecchia-politica" – la scelta su chi, tra i due schieramenti in campo, sia legittimato a governare. Come si sa, a risolvere il dilemma, sul quale negli ultimi tempi si sono divisi osservatori e attori politici, ci ha pensato l’altro giorno il Fondo monetario, con la sua decisione di mettere sotto tutela l’Italia dal punto di vista politico-economico: a causa dell’inaffidabilità del suo governo.
L’obiettivo che abbiamo dinnanzi è stato chiarito: come evitare il default e il definitivo discredito. In una simile condizione, un esecutivo di responsabilità nazionale, sostenuto in Parlamento dalle principali forze politiche, sarebbe la soluzione politicamente più logica. Dimostrerebbe che l’Italia è ancora capace di unirsi nei momenti difficili. Potrebbe adottare misure anche socialmente dolorose, ma necessarie per risanare il Paese, senza il timore, che tutti i partiti singolarmente hanno, di dover pagare un prezzo salato dal punto di vista elettorale.
Un governo con un’ampia base parlamentare avrebbe infine l’autorevolezza per adottare in autonomia provvedimenti che non siano la pura e semplice applicazione degli interventi suggeriti (o per meglio dire imposti) dalle autorità bancarie europee. Il nostro problema in questo momento oltre salvare i conti, è anche quello di riconquistare un minimo di sovranità politica e di rispetto nel consesso internazionale.
Ma un tale governo a quanto pare non si farà. Berlusconi ha fatto sapere che non intende dimettersi, nella convinzione di poter raccattare in Parlamento i voti sufficienti a salvarlo. Ma se anche dovesse cadere o essere costretto alle dimissioni, non ha alcuna intenzione di collaborare con l’opposizione nella prospettiva di una grande coalizione: prospettiva che per lui equivale a un tradimento puro e semplice della sovranità popolare.
Che fare dunque? Si parla in queste ore di allargare la maggioranza di centrodestra: lasciando il suo posto a Letta o Schifani, il Cavaliere potrebbe contare sul sostegno di Casini. Ma è probabile, in questo caso, che a sfilarsi sia la Lega. Il nuovo centrodestra rischia di morire al primo vagito. Quanto all’ipotesi di un governo tecnico, o di un governo politico "da Vendola a Fini", avrebbe comunque numeri risicati in Parlamento e dovrebbe inoltre scontare la durissima opposizione del fronte berlusconiano, che ogni giorno griderebbe al ribaltone e al colpo di Stato.
E dunque – mancando il buon senso e non essendoci i numeri sufficienti per un governo che non sia debole e traballante come è stato sinora quello guidato da Berlusconi – l’unica soluzione che realisticamente si prospetta è quella di un voto anticipato carico di incognite. Al popolo l’ultima parola, col rischio che ne segua un caso peggiore dell’attuale. (tratto da l’Unità)