Serve una “governance” europea per rilanciare mercati e sviluppo
27 Maggio 2010
Chapeau! Davvero tanti complimenti all’intera politica europea. Fino a qualche settimana fa nessuno avrebbe scommesso un euro sulla capacità dei ventisette ministri delle finanze dell’Unione di riuscire a trovare linee di azione comuni forti e precise. E’ noto come la speculazione si batta, innanzitutto, con la forza espressa dalle miliardate che hanno l’effetto immediato di rendere noto che si è forti e in grado di far perdere quattrini, se attaccati. In un solo colpo sono stati stanziati 750 miliardi di euro, zittendo i liberisti in servizio permanente effettivo, che credono di poter svincolare la gestione politica da quella monetaria. Certo si potevano rimuovere i vincoli statutari che impediscono alla BCE l’acquisto di titoli si stato sul mercato primario, ampliandone la libertà di azione e la reattività, come avveniva per le vecchie e care banche centrali, ma non si può avere tutto.
Possiamo comunque ritenere che si è dato inizio alla risoluzione dei problemi? Senz’altro sì, ma occorre ancora percorrere molta strada per superare la debolezza strutturale del sistema Europa. Il primo problema è, quindi, individuare le cause di questa debolezza. Un dato di fondo su tutti: nel mondo circa tre miliardi di persone stanno rapidamente accrescendo il tenore di vita e tale fenomeno pone non solo la questione della sostenibilità ambientale di questa crescita, ma anche, drammaticamente, della possibilità per le nazioni storicamente più ricche di riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Bush figlio ebbe ad affermare che il suo paese era pronto a prendere le armi pur di mantenere i propri standard di consumo. Con la stessa logica le piazze greche sono entrate in tumulto.
Nell’ambito dei paesi avanzati il sistema Europa manifesta maggiori difficoltà. I padri costituenti della Comunità avevano compreso, con la lungimiranza propria degli autentici statisti, che il vecchio continente avrebbe avuto vita difficile rimanendo frammentato in una miriade di stati sovrani. Per riuscire ancora a contare nello scacchiere mondiale e prosperare all’interno dei propri confini occorreva una visione politica comune, da tradurre in breve tempo in un insieme di armonizzazioni operative che necessariamente avrebbero implicato una crescente perdita di sovranità nazionale. Sotto questo profilo il cammino dell’Europa non è stato certo lineare e si sono perse infinite occasioni. La globalizzazione non lascia, però, più tempo ad ulteriori incertezze. Vi sono ormai enormi mercati come quello degli USA, della Russia, della Cina, dell’ India che conoscono una governance unitaria. E’ questo il punto: se l’Europa non si “attrezza”, sviluppando in modo compiuto una governance unitaria, ad ogni crisi i popoli dell’Unione perderemo un po’ di qualità di standard di vita: un po’ di certezze pensionistiche, un po’ di assistenza sanitaria, un po’ di capacità di spesa. Il nodo, quindi, è palesemente politico, prima che economico.
Ritornando agli ormai mitici 750 miliardi di euro, va detto che essi o saranno utilizzati con determinazione, per ristrutturare l’economia, o andranno vanamente a dispersi in azioni di stampo demagogico – assistenziale, suscettibili, forse, di incrementare il consenso politico nel breve, ma di dispiegare effetti catastrofici sul lungo periodo. Ancora una volta va ribadito che soltanto una governance politica forte a livello europeo può favorire il primo degli impieghi indicati.
Come si è detto la dimensione su cui si dispiega la governance è fondamentale per reagire alla crisi e rilanciare lo sviluppo. E’ per questo che la sola ipotesi di tornare ad una Europa senza moneta unica e con le vecchie formule (serpentone, marco forte, svalutazione, ecc.) fa venire i brividi. Deve essere chiaro che tale sciagurata ipotesi regressiva allontanerebbe in via definitiva l’Europa dal giro ‘che conta’, condannandola ad un’irreversibile marginalità politica ed economica. Questa volta a farne le spese non sarebbe solo ‘l’Italietta’ ma anche ‘la Francetta’, ‘la Germanietta’ e anche la Gran Bretagna diventerebbe la ‘Piccola Bretagna’. Per l’ Italia, appunto, si può veramente dire hic sunt leones.
Non contenti della riforma del Titolo V, che tanti guasti ha prodotto in uno dei principali settori dell’economia nazionale, qual è il turismo, si procede a vele spiegate verso una riforma federale dai contorni poco chiari e dai costi reali sconosciuti. Un autentico e demagogico ‘cupio dissolvi’ senza una discussione seria e articolata persi come siamo in affari di piccola bottega e di gossip perenne tant’è che la riforma dei beni culturali, che ricalca per grandi linee il modello del turismo, incede senza suscitare il minimo interesse e dibattito. Si procede, cioè, verso la frammentazione del processo decisionale, verso diseconomie di scala e di scopo, verso l’aumento della burocrazia. C’è veramente da paventare che al termine del processo federalista l’Italia possa vantare il poco invidiabile primato di aver saputo realizzare in via federativa il più diffuso piano di indigenza nazionale tra i paesi dell’Unione.