Serve una nuova etica adatta ad una società sempre più tecnologica

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Serve una nuova etica adatta ad una società sempre più tecnologica

30 Aprile 2009

 

Nel felice invito al dibattito contenuto nel suo articolo, Gaetano Quagliariello individua correttamente nell’interpretazione della modernità politica il vero nucleo della discussione, fino a poco fa sotterranea, in corso nel Pdl, che ora comincia finalmente a venire alla luce.

Si tratta di un dibattito ampio, che non si esaurirà facilmente, e di cui occorrerà a più riprese sondare i diversi aspetti. Nell’impostare la discussione, Quagliariello enuclea due linee di pensiero presenti in generale nel centro-destra, una ricondotta all’idea di una tendenza inevitabile alla secolarizzazione, l’altra fondata invece sulla necessità di una riscoperta di ‘senso’, riscoperta che non può che dirigersi verso la tradizione culturale e religiosa europea. Che queste due tendenze, o tentazioni, esistano è indubbio. Si tratta di capire se esse, intese come mutuamente esclusive, siano realmente adeguate a capire la complessità etico-politica del presente, e dunque se sulla loro base sia possibile al nuovo centro-destra italiano ‘governare’ questa difficile fase della modernizzazione, italiana ma in realtà planetaria.

La risposta che suggerisco a tale quesito è negativa. Credo anzi sia importante far emergere le ragioni per cui queste due linee di pensiero, nella loro unilateralità, sono insufficienti. Nei limiti di un breve intervento, vorrei svolgere solo qualche considerazione esemplificativa sul terreno forse più divisivo, tra quelli enucleati da Quagliariello, e cioè quello delle questioni ‘eticamente sensibili’. Cominciando tuttavia con una rapida premessa sulla secolarizzazione, che è però in fondo il vero nucleo problematico.

Il cosiddetto ‘teorema della secolarizzazione’, nei suoi termini originari (l’idea cioè di una progressiva scomparsa della religione, ridotta alla sfera meramente privata di gruppi sempre più marginali) è certo indifendibile, e persino la cultura di sinistra lo ha ormai abbandonato: non a caso Habermas parla di ‘società post-secolari’.

Sarebbe tuttavia superficiale credere con ciò che il processo di secolarizzazione, correttamente inteso, sia destinato a regredire nelle società occidentali: ciò contrasta con i risultati delle più serie indagini al riguardo – come quella di Norris-Inglehart, Sacro e secolare. Religione e politica nel mondo globalizzato – ma più semplicemente con l’esperienza comune di quanto sta avvenendo nella stessa società italiana, nella quale – per citare un dato – il numero delle coppie di fatto sta per superare quello delle coppie sposate, secondo una tendenza ormai invalsa nelle principali democrazie occidentali. Essa indica, evidentemente, un allentamento dei legami sociali tradizionali, così come la diminuzione della pratica religiosa – in atto in tutti i paesi avanzati – indica l’indebolimento delle forme culturali tradizionali. Questi fenomeni, e altri che si potrebbero citare – a cominciare dalla de-natalità – suggeriscono che esiste un senso preciso per il quale, in diversi ambiti, il processo di secolarizzazione prosegue anche in Italia, come in tutti i paesi occidentali: una forza politica che mira a governare il nostro paese in modo non episodico deve tenerne conto. Esiste una serie di questioni etiche, quelle riguardanti il matrimonio e il divorzio, gli orientamenti sessuali, la salute e la malattia, le scelte riproduttive, l’educazione eccetera, nelle quali il processo di secolarizzazione non conosce battute d’arresto. Sul piano politico, ciò significa che la maggioranza determinatasi in Italia dal 1974, con il referendum sul divorzio, è ancora presente. Tale orientamento coincide con gli effetti della modernizzazione sociale, e qui mi sento di affermare che quelle culture, ad esempio islamiche, che si ostineranno in un rifiuto totale di tale processo, sono destinate, prima o poi, all’implosione.

In tale ambito di questioni etiche il principio di autodeterminazione individuale sembra difficilmente scalfibile. Esiste però un’altra serie di questioni, legate agli effetti sempre più pervasivi della tecnoscienza, in cui le cose stanno in modo alquanto diverso. Tali sono ad esempio le questioni relative al confine della vita, nelle quali l’impatto delle nuove tecnologie ha reso improvvisamente incerta la determinazione dell’inizio o della fine della vita stessa, scuotendo le nostre convinzioni morali: in tale diverso ambito, l’idea di estendere semplicemente il paradigma dell’autodeterminazione, prevalente nel primo gruppo di questioni, non funziona e l’attivazione del deposito di senso della tradizione morale della nostra civiltà si è rivelato e si rivelerà indispensabile. Come ha capito anche Habermas, l’aborto e la diagnosi pre-impianto sono due generi di questioni non analogabili.

Questo segnala però che, complessivamente, né il secolarismo né l’etica religiosa riescono a ‘governare’, da soli, la complessità morale delle nostre civiltà in transizione. L’idea di rendere dominante uno dei due paradigmi, secolarista o religioso, non funziona e non funzionerà. Una forza egemone, culturalmente e politicamente, come vuole essere quella del centro-destra, deve attrezzarsi perciò ad una peculiare e certo non facile ‘mobilità’, attingendo sia alla profondità non esaurita delle tradizioni religiose dell’Occidente, sia alla ragionevolezza, in taluni ambiti, della morale dei moderni.

Un’analisi articolata di cosa questo comporti in concreto eccede i limiti di un breve intervento (qualche osservazione in più nel mio articolo su Biopolitica e democrazia sull’ultimo numero di “Con. Conservatori contemporanei”). Basti qui dire che è necessario insistere sul fatto che esistono basi biologiche della democrazia che sono ‘indisponibili’, e che – di fronte alla diffusione della tecnoscienza e alle profezie sul post-umano – dobbiamo tener ferma la comprensione dell’uomo come genere naturale: questa è anche la tesi di Habermas, e ciò significa che su tali basi è anche possibile instaurare un proficuo confronto con la cultura di sinistra. L’uomo non può illudersi di prendere nelle sue mani l’evoluzione biologica della specie, senza mettere in discussione i fondamenti normativi della democrazia stessa: l’idea ad esempio di una programmazione genetica di alcuni individui, qualunque siano le intenzioni, altera quella fondamentale eguaglianza tra gli uomini che è consustanziale alla democrazia e che presuppone che ciascuno si senta autore della propria vita, e perciò anche responsabile delle proprie azioni. La spontaneità della nascita è in certo senso una precondizione della libertà sociale dell’uomo.

Questo è naturalmente solo un esempio: è però in generale nella riflessione sul nesso tra natura, tecnica e democrazia che si dovrà individuare il terreno di mediazione tra principi religiosi e laici, nella lenta costruzione di una nuova etica, adatta alla società tecnologica, in cui la tutela dei diritti costituzionali sappia mediarsi con l’indisponibilità delle basi biologiche della società e con un principio allargato di precauzione, che accolga all’interno delle nostre democrazie, in modo responsabile, l’incertezza costitutiva delle società tecnologiche.