Serviva davvero un blitz stile Riina per trasferire Contrada?
07 Ottobre 2008
Gli agenti della polizia penitenziaria si sono presentati in cinque, all’alba di sabato mattina, in casa di Anna Contrada a Napoli per prelevare il fratello Bruno e portarlo a Palermo con un volo militare. L’ex dirigente del Sisde aveva ottenuto i domiciliari nel capoluogo siciliano tre giorni fa ma aveva anche chiesto che il provvedimento venisse differito di due settimane per potersi operare. Deve impiantarsi la protesi dentaria (in carcere ha perso tutti i denti) e sottoporsi a un delicato intervento al colon in anestesia totale. Per questo ha anche dovuto sospendere l’assunzione di anticoagulanti che invece servono a curarlo dall’ischemia e dall’ictus, patologie di cui è a rischio. L’ennesimo “malinteso” con la giustizia all’italiana stava per creare un dramma, tanto che la sorella di Contrada è stata costretta a chiamare il 118, la polizia e l’ avvocato Giuseppe Lipera, nel cuore della notte, per evitare che il trasferimento avvenisse senza le necessarie garanzie mediche. Venerdì scorso, il medico legale del carcere di Poggioreale, su richiesta del magistrato di sorveglianza Anna Pancaro, aveva visitato Contrada e preso atto dell’impossibilità di trasferirlo a Palermo prima dell’operazione al colon prevista per questa settimana. Sembrava tutto chiarito e invece è scattata il blitz, un’operazione che ha rischiato seriamente di far venire un infarto non solo a Contrada ma anche alla moglie Adriana svegliata all’alba dalla ferale notizia.
Alla fine ha prevalso la ragionevolezza e Contrada è rimasto a Napoli a casa della sorella. Possibile che si tratti soltanto della ordinaria burocrazia all’italiana in cui la mano destra non sa quel che fa la sinistra? Il sospetto, neanche tanto velato, adombrato dall’avvocato Lipera, è che “tutte queste strane coincidenze, questi disguidi”, capitino perché “a Contrada qualcuno lo vuole morto per consegnare un colpevole defunto sull’altare del professionismo dell’antimafia”. E ci sono tante maniere di uccidere un uomo, specie quando è debole, vecchio e malato. Una di queste può essere tenerlo sotto pressione neanche fosse un boss come Totò Riina. Un’altra tecnica è umiliarlo costantemente: con la suddetta tradotta del mattino, ammesso che ci fosse bisogno di una simile sceneggiata. Invece che usare dei militari di scorta, come esige il ruolo ricoperto da Contrada, sono andati a prenderlo con gli agenti di custodia neanche si trattasse di un boss della Magliana. Piccole cose, dirà qualcuno, ma che incidono pesantemente sulla volontà di vivere di un uomo già troppo provato.
Abbandonato da quello Stato che ha servito per 30 anni, ma che non ci ha pensato un minuto a condannarlo come un mafioso di mezza tacca, fidandosi di quei pentiti che lui stesso aveva assicurato alla giustizia. Svegliare all’alba un uomo che ogni notte deve ingoiare una dose da cavallo di tranquillanti per riuscire a dormire somiglia a una tortura psicologica in stile Guantanamo. La famiglia di Contrada, i suoi legali, i suoi amici, oggi come oggi si chiedono sgomenti: chi è che lo vuole morto prima che la verità sul suo caso venga finalmente a galla?