Servizi pubblici ancora in gabbia sine die

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Servizi pubblici ancora in gabbia sine die

03 Ottobre 2007

Un’occasione sprecata. L’ennesima per un governo che annuncia liberalizzazioni e “lenzuolate” ma che poi alla fine è costretto a fare marcia indietro. E’ accaduto ieri sull’ormai famoso ddl per la delega al Governo sulla riorganizzazione dei servizi pubblici locali approntato dal ministro Lanzillotta.

La discussione doveva iniziare ieri per concludersi anche con il voto. Sembrava fatta ed invece è saltato tutto complice la situazione di estrema crisi nella maggioranza. Infatti da tempo le componenti più radicali dell’Unione si oppongono a questo provvedimento che invece permetterebbe di aprire il settore dei servizi pubblici locali al mercato. Un modo per sottrarlo al sistema clientelare che proprio il centrosinistra ha in questi anni creato. Ma per evitare l’ennesima crisi di maggioranza si è deciso di far slittare il provvedimento a data da destinarsi.

Alcuni dicono addirittura al 2008, sempre che per quel periodo l’attuale governo sia ancora in carica. Un brutto stop che suona come l’ennesima vittoria e ricatto di una parte della maggioranza che non ha alcuna intenzione di aprire la stagione delle riforme. E naturalmente una figuraccia per il ministro Lanzillotta che sta lavorando a questo provvedimento da oltre un anno.

Un’elaborazione difficile viste proprio le pretese della sinistra radicale contraria ad un’apertura dell’intero settore alle logiche di mercato. Atteggiamento giustificato dal fatto che attraverso la gestione pubblica di questi servizi ha creato un immenso bacino elettorale. Grazie al sistema delle società miste e delle aziende municipalizzate, infatti, negli anni all’interno dei vari enti locali la sinistra è riuscita a ramificarsi creando un apparato di potere e di clientele immenso oltre che uno sperpero di risorse pubbliche.

Basti guardare a quello che accade nei comuni toscani o in quelli emiliani, senza dimenticare il caso della Regione Umbria che non più di un anno fa fu al centro di uno scandalo proprio per alcune nomine in società a partecipazione mista. Oppure anche nel Lazio con la vicenda Trambus, ultimamente finita nel mirino dell’Antitrust. Ed andando a Sud c’è poi il caso della Campania di Bassolino che a dispetto di un deficit di bilancio enorme presenta il giro di consulenze e di nomine all’interno delle varie aziende partecipate più alte d’Italia. Era quindi naturale che in una situazione così incancrenita fosse necessario intervenire. Come lo stesso presidente dell’Antitrust Catricalà in un’audizione in Commissione al Senato agli inizi di febbraio aveva fatto notare. Allora il presidente vedeva con fiducia i passi del governo verso un “rinnovato impulso alla liberalizzazione e l’apertura al mercato che dovrebbero essere viste da parte delle Amministrazioni interessate non come un pericolo ma come una sfida ed una buona occasione da cogliere”.  Un appello raccolto anche in queste ore dal presidente di Confindustria Montezemolo che in vista del voto ha fatto sentire la sua voce chiedendo “al Parlamento di dare il via non più a un fazzolettino ma a una vera lenzuolata di liberalizzazioni a cominciare dai servizi pubblici locali in cui è necessario che lo Stato faccia un passo indietro perchè stanno proliferando in maniera inaccettabile”. Appelli che purtroppo per ora rimarranno lettera morta non solo per lo slittamento del provvedimento ma anche perché nel merito il ddl è di gran lunga modesto.

Da qui le proteste della Casa delle Libertà, critica per la mancanza l’assenza di qualsiasi liberalizzazione. Ed in effetti il ddl presenta molte perplessità in particolare per le modifiche che sono state apportate in corso d’opera e che alla fine hanno completamente stravolto lo spirito del ddl riducendo le prospettive di liberalizzazione. Determinante in tal senso è stato l’atteggiamento della sinistra radicale che ha posto i suoi veti impedendo una reale liberalizzazione dei servizi.

L’ennesimo ricatto di una sinistra che tiene il governo legato mani e piedi. Ad esempio per quanto riguarda la cosiddetta “salvaguardia” prevista per la gestione e l’erogazione dei servizi idrici, cioè la possibilità di non applicare le norme di liberalizzazione per questo comparto. Una battaglia della sinistra e che alla fine è riuscita a passare nel provvedimento, impedendo l’applicazione delle regole di mercato in questo ambito.

Una evidente limitazione. Ma non basta perché notevole riduzione è stata introdotta anche con la previsione della clausola della gestione “in economia” e cioè di garantire all’amministrazione il controllo diretto sulla struttura. In breve una sorta di potere di riserva con cui evitare per specifici settori lo “sbarco” sul mercato. In pratica una norma che rischia di vanificare qualsiasi liberalizzazione.

E non si fermano qui le limitazioni. Ad esempio anche la disciplina dell’ “in-house” prevista dalla legislazione comunitaria e che trasferisce all’amministrazione e non al mercato la gestione del servizio è stata ampliata notevolmente, prevedendo una “gestione pubblica” in tutte quelle situazioni “sociali, economiche, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale che non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato”. Come accaduto per la riduzione dei costi della politica anche per le liberalizzazioni se ne riparlerà. Tutti sono d’accordo ma poi alla fine quando si tratta di votare mancano i numeri. E chissà perché sono sempre quelli della sinistra a mancare.