Sesso, regali, ricatti. E un omicidio: quello del nano della stazione Termini
19 Agosto 2010
Nell’Italia degli anni ’90, assuefatta a crimini di ogni genere, a stragi, a omicidi su commissione da espletare come fredde pratiche, c’è un caso che sembra riportare il paese a fatti di cronaca d’altri tempi, per i suoi contorni torbidi. E’ l’assassinio di Domenico Semeraro, riportato sulle pagine dei giornali come “il delitto del nano“.
Una storia maledetta che ha come protagonisti un ragazzo e una ragazza poco più che adolescenti, Armando Lovaglio e Michela Palazzini, di 21 e 20 anni.
E poi c’è la vittima, il Semeraro, Mimmo per gli amici. Una personalità complessa, segnata dalla sofferenza. Un uomo, si perdoni la retorica, imprigionato in un corpo da bambino. Uno che nella vita si è fatto largo tra la commiserazione e la derisione altrui, che mai avrebbe potuto aspirare a un’esistenza normale, tanto meno a una relazione affettiva sana. Il nano della stazione Termini, come impietosamente è stato appelato dai quotidiani, è s tato vittima dei suoi amori morbosi, in particolare di quello che considerava il suo favorito, Armando Lovaglio, il “bell’Alex”, come lo chiamava nelle lunghe e deliranti lettere che gli scriveva o che conservava per sè in un file del suo computer.
Armando, che la sera del 25 aprile, affronta Semeraro, lo solleva da terra cingendogli il collo con il braccio mentre con l’altra mano tira furiosamente il foulard che l’uomo ha al collo fino ad ammazzarlo, per poi accanarsi a calci contro quel corpo senza vita. Un omicidio d’impeto, dettato dall’odio contro la persona che per anni lo aveva manovrato come una marionetta, tenendolo avvinto a sè da un’intricata trama di ricatti e blandizie. Un omicidio dal fascino talmente oscuro da aver ispirato nel 2002 un bel film di Domenico Garrone, “L’imbalsamatore”. Un titolo più che evocativo, perché Domenico Semeraro prima di essere ucciso impagliava animali morti. Ed è dal suo laboratorio che comincia tutto.
E’ l’estate del 1986, un ragazzo di 17 anni bussa all’interno 4 di uno stabile in via Castro Pretorio, a Roma. Con sè ha una copia di Porta Portese. Sul giornale c’è un’inserzione, un’offerta di lavoro presso uno studio di “tassodermia”. Quel ragazzo è Armando Lovaglio, la scuola è appena finita e lui non ha passato l’anno presso l’istituto tecnico che frequenta. La scuola però gli sta stretta, vorrebbe realizzarsi subito con un lavoro, mettere insieme i soldi per realizzarsi il sogno di comprarsi una moto, una Honda Nsf 125. Quell’annuncio sembra fare al caso suo.
Gli apre un uomo alto un metro e trenta, è il titolare della Igor Taxermist, Domenico Semeraro. L’uomo è subito stregato da quell’adolescente, dai suoi occhi neri, dai tratti delicati. Lo assume su due piedi e dopo averlo salutato si ritira nel suo ufficio e descrive estasiato su un docomento del pc il fascino che ha avvertito in quell’adolescente. Ma questo non basta per comprendere chi è il nano della stazione Termini.
Aldo Semeraro nasce a Ostuni, nel brindisino, nel 1946. I suoi problemi cominciano con la pubertà, quando capisce di essere brevilineo. Più degli scherzi e delle prese in giro subite dai compagni di classe pesa la consapevolezza di un destino in cui sarà sempre considerato un anormale, l’impossibilità di avere una storia d’amore con una donna. Passa qualche anno, Mimmo rivolge le sue attenzioni, verso ragazzi del suo stesso sesso, sempre più giovani di lui, li cerca tra quelli che si mostrano più fragili, più confusi, li fa sentire importanti. Sviluppa la capacità di capirne le inquietudini, di blandirli, di convincerli che forse possono trovare in lui quell’amore che il resto del mondo sembra negare loro. E piano piano li fa suoi.
Tra gli strumenti di seduzione non mancano i “premi”, qualche regalo, anche costoso, o un pizzico di droga. Una volta invischiati in questa relazione morbosa, scatta la trappola. Il nano per tenere avvinte a sè le sue prede ricorre al ricatto, alle minacce, anche alle denunce. Tutto per accaparrarsi un po’ di quell’amore che per lui, segnato dalla deformità, non può essere ottenuto in altro modo.
Il nano è bravo ad irretire i suoi giovani obiettivi. Si presenta come un uomo di mondo, nonostante il suo handicap, millanta improbabili conoscenze nel mondo del cinema, si mostra aperto e comprensivo a tratti, altre volte si comprta come un padre, una guida verso quei ragazzi fragili forse anche per via di genitori spesso assenti o distratti. E’ talmente bravo a manipolare i suoi adolescenti da convincerli a posare in foto oscene, anche quelle da utilizzare come la prova della loro ripugnanza. Comprensione e sensi di colpa.
Il nano, o professore, come si fa chiamare per il suo passato di insegnante di educazione tecnica alle scuole medie, ha già un giovanissimo amante quando conosce Armando, ma lo scarica senza tanti complimenti al cospetto del nuovo arrivato.
Pochi giorni dopo l’assunzione Domenico Semeraro compra al ragazzo la tanto sospirata motocicletta. Lo porta con sè in viaggio a Ostuni, lo aiuta a prendere la patente per le due ruote, lo riempie di attenzioni e di coccole. Armando di quando in quando si fa qualche canna, il nano, gli procura l’hashish a volte rimproverandolo a volte sostenendo che non c’è niente di male. E lo fa suo. Tra i due il sesso è morboso, Armando, fragile e inesperto, si affida alle mani del professore. Lascia sempre più spesso la casa dei genitori per andare a dormire nel laboratorio-abitazione di via Castro Pretorio. E’ anche un modo per tagliare i ponti con il padre, autista di bus, con cui il ragazzo ha un pessimo rapporto.
Riprende l’anno scolastico, Armando frequenta ma con scarsi risultati. Vive come stregato fino a quando in questo menage irrompe Michela.
E’ il 1988, la ragazza bussa presso lo studio del nano, che aveva messo un secondo annuncio perché cercava una segretaria. La ragazza è molto graziosa e spigliata, non dispiace a Semeraro, il quale non disdegna, se si presenta l’occasione rapporti sessuali anche con ragazze. Anzi nel 1972 era quasi arrivato al matrimonio con una 16 enne di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, salvo poi essere denunciato dalla promessa sposa per violenza sessuale. Il processo si concluse con l’assoluzione, il nano convinse il giudice che date le sue condizioni fisiche non poteva sovrastare fisicamente la fidanzata.
Tra Mimmo, Armando e Michela Palazzini – anche lei giovanissima e con una famiglia assente alle spalle – si instaura un rapporto a tre. Ma l’equilibrio si spezza presto: i due ragazzi si innamorano. E’ un rapporto finalmente sano, entrambi si rendono conto che l’unico modo di preservarlo è fuggire da quella tana. Ma non è facile, la personalita dell’imbalsamatore li domina, specialmente Armando. Che alle prime difficoltà in famiglia torna sempre a cercare consolazione nel suo pigmalione, così come non appena c’è aria di lite con Michela. Ma nel 1989 accade un fatto che incrina ancora di più il fragile rapporto a tre: la ragazza rimane incinta di Armando.
E’ intenzionata a non abortire, e nel 1990 nasce una bambina. Ma liberarsi del nano è impossibile. In una cassaforte conserva una mole di foto oscene che ritraggono il ragazzo in pose oscene, truccato da donna, in altri scatti c’è Michela immortalata mentre fa sesso con il suo fidanzato agghindato come un travestito. E poi ci sono le registrazioni di conversazioni tra loro mentre parlano di droga.
In più il nano aveva stipulato per Armando alcune polizze, investimenti che negli anni avrebbero fruttato denaro, senza contare Semeraro lo aveva convinto a nominarlo suo procuratore generale e che con questa carica minacciava di invischiarlo in qualche affere che lo avrebbe rovinato. I due fidanzatini cercano di coinvolgere le rispettive famiglie, ma il professore risponde con denunce per violazione di domicilio, querele per minacce. Mostra tutta la sua esperienza e astuzia. La bambina nasce nel 1990.
Sono gli ultimi giorni di vita di Domenico Semeraro. Che per porre fine alla sequela di ricatti propone ai suoi protetti un patto: andare a vivere tutti insieme, anche se in realtà vorrebbe liberarsi della ragazza, l’unico vero ostacolo alla sua unione con il giovane. Armando sembra cedere, la sera del 25 aprile raggiunge il nano in via di Castro Pretorio. Michela lascia la bambina alla madre e si precipita allo stesso indirizzo. Fa una scenata, convince il papà della sua bambina che quella del professore è una follia. Armando si decide ad andare via con lei. Il padre di Michela può ospitare i neo genitori e la piccola in casa sua. A quel punto Domenico Semeraro, si infuria. Si scaglia contro Armando con un taglierino. Il ragazzo lo disarma, Michela scappa in strada. Dopo pochi minuti citofona, il fidanzato ha giò ucciso il nano.
I due ragazzi telefonano ai genitori di Armando, Michela confessa il delitto e chiede alla mamma del ragazzo le chiavi di una casa che i coniugi hanno a Palombara, nei pressi di Roma. Vogliono seppellire il cadavere del nano, chiuso in un sacco e sistemato nel suo furgone. La donna è esterrefatta, implora i ragazzi di venire subito da lei. Nel frattempo chiama i carabinieri.
Armando e Michela si sbarazzano del corpo in una discarica. Poi arrivano dalla madre di lui. Poco dopo giungono anche i militari. E’ la fine, nonostante tutto, di un incubo.
Al processo Michela sarà condannata a un anno per occultamento di cadavere, pena sospesa e senza menzione sulla fedina penale.
Armando sconterà 15 anni per omicidio. Per liberarsi dalla prigione costruitagli intorno dal nano della stazione Termini, alla fine di questa storia è dovuto entrare in una cella vera.