Sette ragazzi muoiono nel Salento… e passa la voglia di cazzeggio

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Sette ragazzi muoiono nel Salento… e passa la voglia di cazzeggio

11 Agosto 2008

Mi sveglio di nuovo in camera con Giovanni che russa come una mitragliatrice, ma la mia prospettiva rispetto a ieri è diversa: ho dormito a pancia sotto. Non dormo mai a pancia sotto. Dopo un po’ provo a muovermi, ma un dolore lancinante mi costringe all’immobilità: sono tutto bruciato, non me lo ricordavo. Alzo solo la testa, e un filino di bava affezionato mantiene il contatto tra la mia faccia e il cuscino.

Mi pulisco e riappoggio e mi rendo conto che il cuscino è tutto pieno di bava. Mi rialzo subito e la piega che si forma sulla schiena mi brucia come se un fabbro ci avesse poggiato una spada appena finita. Chiudo gli occhi, ma non grido, non voglio svegliare Giovanni. Giro il cuscino e finalmente mi posso poggiare. Ma non mi va di stare a letto, devo raggiungere l’internet point.

Mi lavo e scendo cercando di non fare rumore, cerco le chiavi di una delle due macchine, le cerco ovunque, ma non le trovo.

No! Penso, devo tornare lì sotto a piedi.

Esco sperando che almeno oggi mi verranno a prendere, ma appena sono fuori sento la porta aprirsi: “Mario dove vai?” è Gigi. “In paese”. “Ma vai con la macchina di Giovanni?”. “Veramente stavo andando a piedi”. “Ma perché fai così? Vieni, prendi la mia macchina. Considerala nostra per tutta la vacanza. Ok?”. “Ok grazie!”.

Che gentile Gigi. Ci metto un attimo con la macchina ad arrivare.

Entro, vedo il ragazzotto che gestisce il negozio, e mi siedo automaticamente: ormai so le regole.

Apro alcuni siti e c’è subito una notizia che mi salta agli occhi: sette ragazzi, tutti dai 17 ai 33 anni sono morti la notte scorsa in un incidente stradale in Salento.

Leggo le coordinate dell’incidente e capisco benissimo dove è successo: dieci anni fa anch’io sono stato in Salento con gli amici d’estate, e sono stato in discoteca in quella zona.

Non riesco a trattenermi: comincio a piangere pensando ai genitori di quei ragazzi, ai miei genitori, e chiamo mia madre.

Non le racconto niente, le dico solo che le voglio bene e che la pensavo, e lei è felice.

Cerco qualcosa su cui fare il trafiletto, vedo che l’Italia ha conquistato un altro argento olimpico con Giovanni Pallielo al tiro al piattello, e lo faccio su di lui. Ma mi viene fuori una cosa triste e  pietosa, il mio umore è troppo condizionato dalla morte di quei ragazzi.

Quando finisco pago ed esco. Passo in farmacia e compro una protezione totale, poi in una tabaccheria e prendo un ombrello da spiaggia.

Quando torno a casa sono già tutti pronti per andare al mare.

“Ma che hai comprato Mariuccio!”. “Mare, non ti temo più!” rispondo. Tutti si mettono a ridere e mi torna in mente la notizia di quei ragazzi. E penso che non è giusto divertirsi. Mi intristisco di nuovo.

Il grande Gigi anche oggi ci porta in una cala sulla quale si è documentato, vicina all’altra ma un po’ più distante.

Quando arriviamo monto istantaneamente l’ombrellone e mi ci siedo sotto.

Gli altri vanno a fare il bagno. Io tiro fuori dalla borsa un libretto che mi ha consigliato direttamente l’autore in libreria: si chiama Io ci sto, di Marco Zarfati. Sono molto curioso di leggerlo.

Lo sfoglio un po’ e mi viene quasi la nausea: il libro fa schifo, è scritto malissimo e non scorre per niente. Lo chiudo deluso e sconfortato per aver buttato dieci euro dalla finestra in questo modo e penso a un modo per vendicarmi con quel truffatore.

Vedo dei bambini sulla riva che stanno facendo un vulcano e che non trovano la carta per continuare a giocare. Prendo il libro e comincio a strapparlo con violenza pagina per pagina. Quando formo un bel gruzzoletto lo porto a loro che mi guardano come un liberatore.

“Ecco a cosa serviva quell’acquisto” penso, e questa buona azione appena compiuta mi mette allegria.

Quando torno sotto l’ombrello c’è Gigi che mi sta aspettando: “Cosa hai dato a quei bambini per farli essere così felici?” mi chiede. “Delle pagine di un libro orribile da usare come combustibile per un vulcano”.

Dopo un po’ di tempo però uno dei bambini prova a leggere una pagina e comincia a piangere.

“Ma che c’è scritto di così terrificante su quel libro?” mi chiede Gigi. “Guarda lascia perdere. Piuttosto mi dici dove siamo e che isole sono quelle?”. Lo invito a nozze: Gigi ha una passione fortissima per la geografia, e gli piace da matti mostrare di sapere le cose.

“Allora, siamo a Cala Suaraccia, e quella lì è Molara, mentre quella è Tavolara” mi indica le isole. “Siamo su una penisola poco sotto Olbia, mentre la casa è più a sud, vicino a San Teodoro…”. Mentre stavamo parlando arriva la madre dei bambini nera di rabbia che comincia a darmi addosso: “Scusi ma che cosa ha dato da leggere a mio figlio? Le pare a lei che lo doveva far piangere in questo modo?”. Mi alzo: “Scusi signora non avevo idea che  lo avrebbero letto, io volevo solo dargli dei fogli da bruciare per il vulcano. Se avessi anche solo immaginato che avessero letto una sola riga non avrei mai dato loro quei fogli”.

“Lo voglio sperare”.

La giornata è andata avanti tutta come era cominciata, malissimo quindi, e prima di andare a dormire ho mandato una preghiera a quei ragazzi del Salento, e ripensato a quel libro terribile di oggi pomeriggio. A quel Zarfati però gliela farò pagare.

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