Shalabayeva, “Pensavo mi uccidessero”. Ma ci faccia il piacere
14 Luglio 2013
Il racconto che Alma Shalabayeva fa della sua "deportazione" avvenuta il 29 maggio, come l’hanno chiamata i giornali, sembra uscito da un romanzo degno di un Paese del terzo mondo. Agenti incappucciati e in borghese che piombano nella villa a Casalpalocco, Roma bene, la insultano, la portano via in malo modo prima di metterla sull’aereo austriaco noleggiato dove la aspettavano i diplomatici kazaki. "Un incubo", secondo Repubblica. "Avevo una sola sensazione in quel momento: erano venuti ad ucciderci senza un processo, un’indagine, senza che nessuno lo avrebbe mai saputo", dice la moglie del presunto dissidente Ablyazov, che abbiamo più volte detto essere un oligarca coinvolto in una megascandalo bancario, fuggito in Europa dove ha cercato asilo a Londra, prima di dover fare le valige anche dalla Gran Bretagna (le corti inglesi hanno confermato le accuse contro Ablyazov). Dunque a credere a miss Shalabayeva i nostri agenti sarebbero delle specie di squadroni della morte brasileri che piombano nelle case degli immigrati per farli sparire dalla circolazione. La donna, che aveva un passaporto falso al momento del fermo, li accusa anche di aver malmenato il genero e avergli spaccato il naso. Dice che non capiva cosa dicevano gli agenti ma poi dichiara che l’hanno chiamata puttana russa. Possiamo fidarci della sua ricostruzione? La catena di comando sul caso Shalabayeva non sembra aver funzionato, tra apparati che agivano e ministeri che sapevano e non sapevano. E il ministro Alfano, finito nel mirino, promette che presto cadranno delle teste. Certo è che il ritratto offerto delle nostre forze dell’ordine dalla donna somiglia più a un resoconto noglobal che al sistema della sicurezza di un Paese democratico come l’Italia. "Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d’oro al collo, molti avevano la barba, uno una capigliatura punk con una cresta". Quanto è credibile il suo memoriale al Financial Times?