Sharon rese Israele padrone del suo destino

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Sharon rese Israele padrone del suo destino

14 Gennaio 2014

Ariel Sharon è morto all’età di 85 anni dopo che otto anni fa era caduto in coma per un ictus. Se ne va "Arik", il "bulldozer" di Israele, undicesimo premier di Israele dal 2001 al 2006, l’uomo che ha dominato per anni la scena politica israeliana, guidato con forza pertinace la destra conservatrice e dato vita a una diplomazia non ortodossa e sempre controversa che lo spinse addirittura a ordinare il ritiro unilaterale israeliano dalla Striscia di Gaza. Sharon si era meritato i galloni sui campi di battaglia della guerra d’indipendenza e grazie ai successi accumulati nel corso delle elezioni in Israele.

La sua premiership viene ricordata dalla intransigenza nel condurre le operazioni di controterrorismo mista ad una serie di improvvisi gesti di pace che non sempre i suoi interlocutori palestinesi furono in grado di cogliere, come del resto era già avvenuto prima, con il predecessore Barak, nel 2000, al tempo del gran rifiuto di Yasser Arafat. Proprio la violenza scatenata durante la seconda Intifada e nell’Hamastan, con le bombe suicide nelle discoteche e sugli autobus, la strage di Netanya (30 israeliani ammazzati), spinsero Sharon a dare il via alla operazione "Scudo difensivo" per smantellare le infrastrutture del terrore in West Bank, con una riduzione del 46% degli attacchi che si sarebbero ridotti del 70% entro la fine dell’anno.

La mossa successiva, salutata positivamente dal Presidente Bush e dal segretario generale delle Nazioni Unite, Annan, sarebbe stata appunto il ritiro unilaterale dei settlers israeliani da Gaza e West Bank, una decisione che politicamente Sharon cercò di consolidare con la formazione del partito di centrodestra "Kadima", cercando di portare dentro la nuova formazione politica personalità del centrodestra e del centrosinistra. Nel gennaio del 2006 sarebbe arrivato, improvviso, il coma.

Sharon viene anche collegato al massacro perpetrato dai falangisti cristiano-libanesi nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila nel 1982 (da 750 a 3000 vittime civili, secondo fonti tra loro contrapposte e controverse); all’epoca Arik era alla guida dei militari israeliani. Una commissione di inchiesta avrebbe giudicato Sharon indirettamente responsabile del massacro, accusandolo di non aver saputo anticipare la mossa dei falangisti (guidati da un comandante che a sua volta aveva visto la sua famiglia uccisa dai palestinesi nel cosiddetto "massacro del Darmour).

Una colpa che sarebbe stata alimentata dalla stampa – Time, per esempio, venne accusato da una corte di giustizia di aver falsamente accusato Sharon di avere una responsabilità diretta nel massacro – fino a costringerlo a dare le dimissioni dall’esercito. Come pure ricordiamo la controversa visita al Monte del Tempio di Gerusalemme nel 2000, contestatissima perché una delle aree contese come luogo santo della religione ebraica e terzo luogo sacro per i Musulmani, rafforzando la tendenziosa interpretazione storica per cui sarebbe stata colpa del leader israeliano se poi scoppiò la seconda Intifada.

Ma al di là delle polemiche se ne va uno delle icone di Israele, capace di forgiare l’orizzonte politico e anche militare e della sicurezza dello Stato di Davide. Come disse una volta Sharon ricordando l’Olocausto, "è un diritto del popolo ebraico, dopo anni di privazioni e sofferenze, di essere padrone del proprio destino e che nessuno si arroghi di poterne controllare l’esito. Dovremo preservare tale diritto più di ogni altra cosa".