Si allarga il fronte della lotta all’evasione fiscale

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Si allarga il fronte della lotta all’evasione fiscale

19 Maggio 2009

Il fronte della lotta all’evasione fiscale si allarga. E, se si riflette secondo i del tutto condivisibili moduli “brunettiani” di efficienza ed economicità della Pubblica Amministrazione (obiettivi tipici di qualsiasi organizzazione aziendalmente organizzata), si capisce anche il perché.

Secondo una recente ricerca è infatti emerso che ogni ora di controllo nell’ambito di una giornata lavorativa standard di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate vale circa 230 Euro. Tale previsione, tenendo conto solo degli importi recuperati con l’utilizzo del redditometro e delle indagini finanziarie (strumenti tipicamente utilizzati a carico delle sole persone fisiche), è del resto molto al ribasso.

Se infatti nel calcolo rientrassero anche le imposte accertate a carico delle imprese (e soprattutto delle grandi imprese) le stime sarebbero probabilmente decuplicate.

Al tempo stesso, però, bisogna rilevare come l’elaborazione sia stata ottenuta utilizzando i dati dell’accertato e non del riscosso, dati che, notoriamente, non sono certo coincidenti.

In ogni caso (anche tralasciando i non trascurabili fattori di giustizia sociale, costituzionale etc. etc., connessi alla doverosità dell’azione di contrasto all’evasione fiscale), risulta comunque evidente la convenienza “economica” di una efficiente azione in tale direzione. Basti pensare infatti che, sulla base della Convenzione triennale relativa al piano dei controlli dell’Agenzia delle Entrate, dai soli due metodi di indagine (sopra citati) del redditometro e delle indagini bancarie, fino al 2011, ci si aspetta un recupero complessivo di circa 4 miliardi di Euro.

E questo fermandoci alla “banale” evasione delle persone fisiche. Basti pensare, del resto, che, nel 2008, gli E.T. (che non vuol dire extraterrestri, ma evasori totali, cioè persone che non hanno mai dichiarato niente all’Erario) scoperti dalla Guardia di Finanza sono stati ben 6.414. A confronto delle cifre che verrebbero dall’evasione societaria internazionale, del resto, tali importi equivalgono davvero a pochi “spiccioli”.

Forse anche per questo motivo il Ministro Tremonti ha recentemente dichiarato di voler aumentare la pressione sui paradisi fiscali, dicendo di intuire perché in Paesi vicini “ci sono più società di Panama che abitanti”. Il Ministro ha inoltre stigmatizzato il sistema dell’euroritenuta sui depositi dei cittadini stranieri che consente di mettere al sicuro la “refurtiva”, con addirittura una direttiva europea che, di fatto, in cambio del pagamento di un “obolo”, te lo consente. Tremonti ha del resto fatto capire di non credere molto nell’efficienza del sistema decisionale europeo, imbrigliato com’è dal sistema del voto all’unanimità.

L’abolizione del segreto bancario e dei sistemi che comunque consentono la messa in sicurezza dei capitali da evasione fiscale espatriati all’estero richiede infatti l’unanimità dei 27 e il superamento della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio, che (è stato giustamente detto) ha fatto entrare l’Europa in Svizzera e non il contrario.

Quindi, secondo il Ministro, è giunta l’ora che ognuno faccia valere la propria “sovranità fiscale”, magari introducendo (dopo aver compilato una lista nera italiana che indichi i centri offshore da includere fra i “cattivi”) la regola che se un capitale viene esportato in un paradiso fiscale si presume (con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente) che sia frutto di evasione (salvo appunto prova contraria).

In questo riappropriarsi della propria sovranità fiscale nazionale, bisognerà del resto anche tenere conto del “Piano Obama”, che non mira soltanto a combattere il fenomeno (patologico) dei paradisi fiscali, ma anche quello della (legittima) concorrenza fiscale internazionale: quel fenomeno cioè per cui sono invogliato a trasferire la mia attività di impresa in paesi con tassazione “ordinaria” (e quindi non da “paradiso”), ma comunque inferiore a quella del mio Paese di origine.

Insomma: crisi (e conseguente necessità di reperire capitali da far rientrare in patria) contro globalizzazione.

In particolare nel mirino vi dovrà essere quindi l’elusione fiscale, quale quella realizzabile con la cessione di beni o servizi sottocosto nell’ambito di gruppi multinazionali (cosiddetto transfer pricing), l’esterovestizione fittizia, lo sfruttamento dei paradisi fiscali, l’utilizzo abusivo di operazioni straordinarie etc. etc.

Come detto più volte, la leva fiscale, oggi più che mai (visto il particolare momento storico ed economico), assume quindi un’importanza fondamentale.

Anche per questo, probabilmente, nella legge sul federalismo fiscale, approvata definitivamente a fine aprile, viene richiamato espressamente il vincolo alla lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e il fatto che, in attuazione di questo principio, si impone, per la prima volta, a Stato, Regioni e Comuni di cooperare tutti insieme e sinergicamente nella lotta all’evasione fiscale.

Fuori e dentro dai confini nazionali, dunque, la parola d’ordine è sempre la stessa.

Non dimentichiamo infatti che ci sono interi settori dell’economia che, non solo sfuggono all’imposizione fiscale, ma che sono del tutto fuori dalla legalità, perché magari sotto il controllo della criminalità (basti pensare a tutto il fenomeno del lavoro nero, al contrabbando etc.).

Ci sono poi, d’altra parte, settori che campano e proliferano proprio sul vantaggio competitivo che gli viene dall’evasione (o elusione) fiscale e che violano così ogni regola di libera concorrenza.

Se tutti questi settori contribuissero, come dovuto, alle casse erariali le aliquote fiscali (tutte le aliquote fiscali) potrebbero abbassarsi di botto.