Si chiama Brett ed è meglio non chiederle che fine ha fatto suo marito

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Si chiama Brett ed è meglio non chiederle che fine ha fatto suo marito

16 Maggio 2009

Da un bel pezzo non mi sparava più nessuno, e negli ultimi due o tre mesi ero riuscito anche a conservarmi la testa tutta intera. Si trattava di una specie di record, e cominciavo già a sentirmi speciale. Io e Brett ce ne stavamo a letto, al piano superiore della nostra casetta in affitto, col fiato corto perché appena arrivati al traguardo di una lenta, tenera corsa che, qualche volta, potrebbe anche sembrare una competizione; ma basta impegnarsi nella maniera giusta per sentirsi vincitori, anche se si arriva ultimi. E, in quell’istante, la vita era bella.

Brett si mise seduta sprimacciandosi il cuscino dietro la schiena, e scostandosi dal volto i lunghi capelli rosso fuoco spinse il petto in avanti in un modo che mi fece sentire davvero fortunato. «Non me la spassavo così tanto» disse «da quando ho fracassato la pistola sulla capoccia di quella mezzasega dai capelli rossi.»

«Non hai idea di quanto mi fai diventare romantico» dissi io.

«Mi sa che il piccolo Hap è appena andato a infrattarsi da qualche parte.»

«Pensavo che ne fosse appena saltato fuori» rispose lei, facendomi l’occhiolino.

Il bello era che gliel’aveva spaccata davvero, la testa, a quel nanerottolo. Lo so perché c’ero anch’io. Cercava di salvare la vita di sua figlia, senza dubbio, ma non era stata comunque una bella situazione e io le stavo reggendo il sacco. Una cosa devo comunque dirla, a merito di quel nanerottolo: tutte quelle botte le aveva incassate con stoicismo e anche con un certo orgoglio, pretendendo addirittura di togliersi il cappello, uno Stetson che costava un sacco di soldi. Dritto sul cranio, aveva detto, e proprio lì le aveva prese.

«Sai, forse non è proprio corretto chiamarli ‘mezzeseghe’. Magari preferiscono ‘nani’oppure ‘ometti’» dissi io.

«Sul serio? Be’, degli altri non saprei, ma quello che ho conciato per le feste preferisco chiamarlo ‘randellato’.»

«Ti capita di starci male, per questa cosa?»

«No davvero.»

«Guarda che c’è rimasto secco.»

«Mica per via delle botte in testa.»

 Vero anche questo. Era morto per altre ragioni; però, ragazzi, certo che ne aveva prese di legnate da Brett. Che, oltretutto, aveva anche dato fuoco alla zucca del suo ex marito per poi spegnere le fiamme a colpi di vanga, e questo non è proprio come usare un getto d’acqua. Il mio tesoro, certe volte, sapeva renderti un po’ nervoso.

«A proposito di ometti» disse lei, piantandomi una mano sull’inguine.

«Ometti?» risposi. «È questo che dovrebbe mettermi il fuoco dentro?»

«No. A quello ci penso io.»

Brett ridacchiò, scivolandomi accanto. La presi tra le braccia e ci rannicchiammo l’uno contro l’altra. La faccenda stava ormai entrando nella fase operativa quando bussarono alla porta. Tipico. Guardai la sveglia sul comodino. Le undici di sera. Bussarono di nuovo, e più forte. Mi alzai, m’infilai la vestaglia e le pantofole a forma di coniglietto e sparai una bestemmia. «Tu non perdere la concentrazione. Io scendo giù a far fuori ’sto venditore fuori orario di Bibbie.»

«Ti spiace portarmi qui la sua testa?»

«Su un vassoio.»

Tratto da Joe R. Lansdale, Sotto un cielo cremisi, pp. 11-13, Fanucci Editore 2009

Titolo originale: Vanilla Ride© 2004 by Joe R. Lansdale. © 2009 by Fanucci Editore. Traduzione di Luca Conti. Tutti i diritti riservati.

Joe Lansdale (1951) è autore di narrativa noir, horror, western, con oltre 20 romanzi e 200 racconti alle spalle. Ha pubblicato Atto d’amore, La notte del drive-in, Una stagione selvaggia, tra gli altri. Ha vinto per 6 volte il "Bram Stoker Horror Award".