Sì del Colle al legittimo impedimento. Giustizia e politica devono collaborare

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Sì del Colle al legittimo impedimento. Giustizia e politica devono collaborare

07 Aprile 2010

Il legittimo impedimento incassa il via libera del Quirinale. Oggi il Capo dello Stato ha firmato il ddl sullo “scudo” processuale di diciotto mesi per il premier e i ministri. Con una sollecitazione chiara: “leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria”.

E’ questo il “contesto” che il Colle auspica d’ora in poi ed è in questa direzione l’invito a operare. Con la promulgazione del ddl approvato dal Parlamento si completa così l’iter del provvedimento, licenziato in via definitiva dall’aula di Palazzo Madama lo scorso 10 marzo. Un testo da mesi al centro di dure controversie tra maggioranza e opposizione, fortemente osteggiato in particolare dal leader Idv Di Pietro che dopo sit-in e marce davanti al Parlamento e perfino al Quirinale (con attacchi pesanti all’indirizzo del presidente Napolitano) non si smentisce e torna a suonare la carica di una nuova protesta: questa volta impugnando la bandiera del referendum contro una norma giudicata “incostituzionale e immorale”.

Dalle file del Pd si ribadisce “pieno rispetto per la decisione del presidente Napolitano” ma sul contenuto del provvedimento Andrea Orlando (responsabile Giustizia) conferma che “restano inalterati tutti i motivi politici che ci hanno fatto dire no, in Parlamento e nel Paese, alla legge sul legittimo impedimento”. Posizione diametralmente opposta dai ranghi del centrodestra, col ministro Rotondi esprime apprezzamento nei confronti del presidente della Repubblica e definisce il legittimo impedimento “un atto di giustizia e non di protervia politica”, mentre per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, Napolitano si conferma “un garante ineccepibile”, anche perché – è il ragionamento – chi a sinistra pensava di “usare l’arma giudiziaria come strumento improprio per ostacolare l’attività di un governo democraticamente scelto dagli italiani” ha dovuto prendere atto che quel tentativo è fallito, anzi, non poteva reggere proprio perché lesivo del principio della sovranità popolare, stampato a chiare lettere sulla Costituzione.

L’obiettivo della norma è garantire  “il sereno svolgimento delle funzioni attribuite loro dalla Costituzione e dalla legge”  e lungo questo principio-chiave si sviluppano i due articoli in cui è suddiviso il testo. In particolare l’articolo 2 fissa il carattere di “legge ponte”, ovvero la validità della norma “fino all’entrata in vigore della legge costituzionale”. Passaggio che rimanda ad una modifica della Carta, una sorta di Lodo Alfano per via costituzionale – appunto -, al quale il Guardasigilli sta lavorando, in linea coi rilievi sollevati dalla Corte Costituzionale che nell’ottobre scorso bocciò il provvedimento presentato dal centrodestra per via ordinaria. E che l’ipotesi di un nuovo testo in forma costituzionale da votare durante i diciotto mesi di durata del legittimo impedimento possa essere tuttora compresa nell’agenda di lavoro della maggioranza lo si capisce quando il presidente della Commissione Affari Costituzionali Donato Bruno risponde lapidario ai cronisti: “Se ce lo presentano ci lavoreremo”. In base al testo che oggi ha ottenuto il via libera dal Quirinale, sono considerate legittimo impedimento per il presidente del Consiglio a comparire nei processi che lo vedono imputato (non in quelle in cui è parte offesa) le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l’attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, ma anche ogni attività “coessenziale” alle funzioni esercitate dall’esecutivo. Anche per i ministri vale lo stesso principio. Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l’impedimento.

Ma come funziona? Nel momento in cui la presidenza del Consiglio dei ministri attesta che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, – recita la norma –  il giudice rinvia il processo all’udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi. Inoltre la legge viene applicata anche “ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge”.

E nel giorno in cui il centrodestra mette a punto la road map delle riforme (giustizia, riforma fiscale, istituzioni) c’è un altro passaggio che incrocia le relazioni tra Palazzo Chigi e Quirinale e che potrebbe inaugurare una nuova stagione di collaborazione istituzionale nel rispetto dei reciproci ruoli e funzioni: è il colloquio tra il presidente Napolitano e il ministro per la semplificazione legislativa Calderoli calibrato proprio sulle riforme. Un aggiornamento costante sul work in progress di governo e maggioranza in relazione al capitolo, delicato, delle riforme istituzionali, lo considera il ministro leghista. Dal Quirinale, nessun esame di “contenuti specifici” ma, sottolinea Napolitano in una nota, è l’occasione per ribadire all’esponente dell’esecutivo i propri punti di vista "ripetutamente espressi circa la necessità e le possibilità di ricerca della più larga condivisione in Parlamento delle scelte da compiere in questo campo di speciale complessità e delicatezza".

Insomma, al di là delle ipotesi prefigurate, il paletto fissato dal Capo dello Stato è quello dell’accordo ampio nelle Camere. In serata il premier Berlusconi che ha riunito l’ufficio di presidenza del Pdl spiega che quella illustrata da Calderoli al Capo dello Stato “è solo una base di partenza” sulla quale discuterà il Pdl. Un modo – osservano nel centrodestra – per stemperare una certa irritazione che numerosi esponenti pidiellini di rango (da Cicchitto a Scajola, da La Russa a Verdini) hanno lasciato trapelare stigmatizzando il fatto che la Lega, il giorno dopo il vertice di Arcore, si sia intestata la titolarità della “cabina di regia” sulle riforme che invece – rimarcano- è e resta nelle mani del premier. Al di là dei botta e risposta, c’è un dato oggettivo sul quale nel centrodestra sono tutti d’accordo: il cammino riformatore è già partito e indietro non si torna. E il Cav. lo ha ripetuto anche oggi ai suoi: la maggioranza ha il dovere di fare le riforme perché è un preciso mandato degli elettori.