Sì di Medvedev al ritiro dalla Georgia, ma il bicchiere resta mezzo vuoto
09 Settembre 2008
Ieri Sarkozy e i vertici dell’Ue hanno raggiunto a Mosca un’intesa con il presidente russo Medvedev sul ritiro delle truppe russe dalla Georgia. Ora bisognerà vedere se il Cremlino applicherà l’accordo o lo ignorerà come ha già fatto con la precedente intesa siglata con lo stesso Sarkozy.
Sarkozy è volato a Mosca nella duplice veste di capo di stato francese e di presidente di turno dell’Ue, accompagnato dal presidente della Commissione europea Barroso e dall’Alto rappresentante per la politica europea di sicurezza e difesa Solana. Dopo lunghi colloqui, i rappresentanti europei e russi hanno presentato un’intesa riassumibile in cinque punti. Entro una settimana le truppe russe dovrebbero togliere i cinque posti di blocco militari rimasti attorno alle città di Poti e Senaki, in pieno territorio georgiano ben oltre il confine amministrativo di Abkhazia e Ossezia del Sud. All’inizio di ottobre l’Ue invierà in Caucaso una missione di duecento osservatori, che dispiegandosi al confine tra le due regioni separatiste e il resto della Georgia dovrebbe evitare il ripetersi di scontri tra russi e georgiani. Entro 10 giorni dal dispiegamento della missione Ue le forze russe dovrebbero ritirarsi all’interno delle regioni di Ossezia del Sud e Abkhazia, mentre le truppe georgiane dovrebbero rientrare nelle proprie caserme nel resto del paese. Infine, a metà ottobre, dovrebbe partire a Ginevra una conferenza internazionale sulla sicurezza del Caucaso.
Questi i dettagli dell’intesa, ma qual è il suo significato e valore? A un primo sguardo l’accordo di ieri appare un risultato politico positivo raggiunto dalla mediazione europea, sotto almeno due punti di vista. In primo luogo, l’Ue ha dimostrato di essere attiva sulla scena internazionale riguardo ad una crisi che avviene nel suo “vicino estero”, e che tocca degli interessi di sicurezza ed economici vitali per l’Europa. Nelle scorse settimane il Consiglio dei capi di stato e di governo dell’Ue è riuscito ad adottare una posizione unitaria nei confronti di Mosca, e la missione di Sarkozy è sembrata avere il pieno appoggio dell’intera Europa a 27. Oltre a “essere”, l’Ue è riuscita anche ad “avere” qualcosa: il consenso di Mosca a una propria missione nella regione, e date certe per il ritiro delle truppe russe dalla Georgia. Il bicchiere potrebbe sembrare dunque mezzo pieno per un’Unione di nuovo alle prese con una guerra nel proprio cortile di casa, specie se comparato al bicchiere disastrosamente vuoto di un’Europa che assistette inerme negli anni ‘90 ai massacri nell’ex Jugoslavia finché non furono gli Stati Uniti a spegnere, con le armi e con la diplomazia, la polveriera balcanica.
Guardando però ai fatti recenti nel Caucaso e alla strategia di Mosca, il bicchiere appare mezzo vuoto, e il contenuto del calice diventa anche molto amaro. Infatti Sarkozy era già volato a Mosca e Tbilisi il 12 agosto ottenendo il consenso delle parti ai famosi “sei punti” del suo piano per il cessate il fuoco, e anche allora di parlò di successo per l’Ue che era riuscita ad “essere” e ad “avere” sul piano internazionale. Tra i sei punti c’era anche il ritorno delle truppe russe alle posizioni precedenti il 7 agosto, data di inizio del conflitto, ma questo punto non è stato applicato dal Cremlino. Nelle settimane successive infatti i soldati di Mosca hanno continuato a uccidere e rubare in territorio georgiano, e hanno proseguito a distruggere sistematicamente le infrastrutture non solo militari ma anche civili della Georgia, per minarne l’economia e la stessa integrità territoriale. Mentre l’Occidente chiedeva il rispetto dei “sei punti” di Sarkozy, treni georgiani saltavano in area sulle mine messe dai russi tra le rotaie, e gli aiuti americani potevano sbarcare nel porto di Poti sotto assedio russo solo perché scortati da navi della marina militare statunitense.
Dunque, a tre settimane di distanza Sarkozy ha ottenuto da Mosca quello che Mosca aveva già promesso e non mantenuto la volta precedente, il ritiro delle sue truppe dalla Georgia. Ma nel frattempo Sarkozy, cioè l’Ue, in cambio ha concesso al Cremlino molto altro. In primo luogo l’intesa di ieri afferma che le truppe russe si ritireranno non in Russia ma nelle due regioni separatiste georgiane, sancendo l’accettazione europea del controllo militare russo su due importanti pezzi di Georgia. In secondo luogo, nei giorni scorsi Mosca ha riconosciuto l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud, e ieri ha imposto che l’intesa con Sarkozy non contestasse questo riconoscimento ottenendo di fatto l’accettazione del fatto compiuto. In terzo luogo, il ritiro delle truppe russe è scaglionato in altri 30 giorni, lasciando quindi tempo e modo al Cremlino di forzare ulteriormente la mano per avere dagli europei altre concessioni in cambio di un’azione, il ritiro, che aveva già promesso e non realizzato. Da questo punto di vista, l’azione diplomatica dell’Ue ricorda i negoziati con Stalin sull’assetto dell’Europa orientale dopo la seconda guerra mondiale, quando Mosca otteneva in cambio di effimere promesse l’accettazione occidentale della presenza “temporanea” dei suoi carri armati nei paesi europei. Una “temporaneità” che a Berlino, Praga, Varsavia, è durata quarantaquattro anni.
Anche quanto all’“essere”, ieri l’Ue a Mosca ha incassato un duro colpo: nella sala dove Sarkozy e Medvedev hanno presentato in conferenza stampa l’accordo raggiunto, il presidente russo ha ottenuto di togliere la bandiera dell’Ue lasciando solo quelle russa e francese. Uno schiaffo simbolico non di poco conto per gli europei che cercano di costruire una politica estera comune, un chiaro messaggio ai russi, agli ucraini, ai caucasici, che Mosca se ne infischia dell’Ue e tratta solo alle sue condizioni con i singoli paesi europei. Dal canto loro le repubbliche dell’ex Urss sembrano aver capito l’aria (di guerra) che tira dal Cremlino e chinano la testa. Il presidente della Moldavia ricevuto a Mosca giorni fa per discutere dell’enclave russofona della Transnistria nel suo paese, controllata anch’essa illegalmente da truppe russe, ha accettato di abbandonare ogni proposito di avvicinamento all’Occidente per non essere trattato “come la Georgia”. Negli stessi giorni Uzbekistan e Azerbaijan, che hanno visto a poche centinaia di kilometri dalle proprie frontiere le truppe russe invadere uno stato sovrano senza che Onu, Usa e Ue facessero nulla, hanno accettato di vendere il loro gas al Cremlino – via Gazprom –, gas che sarà così rivenduto dal monopolista russo agli europei. Un gravissimo colpo ai propositi euro-americani di portare quello stesso gas in Europa autonomamente da Mosca attraverso Georgia e Turchia, propositi vittime dell’arrivo dei tank russi a pochi chilometri da Tbilisi e dalle pipelines georgiane.
La missione Ue è stata dunque un fallimento politico? No, non si può dire questo. Bisogna riconoscere che l’Unione è riuscita in qualche modo ad “essere” e ad “ottenere” qualcosa sul piano internazionale, ed in una certa misura ha ragione chi sostiene che l’azione di politica estera debba tenere ben presente quello che si può fare e non solo quello che si vorrebbe fare. In particolare l’invio di una missione Ue robusta, e non della misera ventina di osservatori aggiuntivi alla missione Osce di cui si parlava all’inizio della crisi, rappresenta un piccolo piede europeo messo a terra prima che la porta russa si richiudesse definitivamente sul cortile caucasico. Un piede che potrebbe permettere all’Ue di gettare uno sguardo sul Caucaso, affinché quello che la Russia vi compie venga raccontato in Occidente – racconto fatto a proposito della vergognosa e brutale occupazione russa della Georgia solo da poche voci coraggiose, come quelle di Bernard Henry Levy ed Andrè Glucksmann. Un piede che potrebbe permettere all’Ue di far sentire la sua voce sui diritti umani e sugli accordi internazionali violati nella regione, e di battere i pugni sul tavolo negoziale con la Russia. Ma questa è solo una possibilità, una speranza, che si avvererà solo se l’Europa deciderà di chiedere di più a se stessa e quindi di pretendere di più alla Russia, se deciderà di perseguire i suoi interessi e onorare i suoi principi anche a costo di confrontarsi con l’autocrazia di Putin e Medvedev. Il volo di Sarkozy a Mosca è stato quello di una rondine, e una rondine non fa primavera. Specie nell’inverno russo.