Si intravede (forse) l’alba ma Orwell resta in agguato

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Si intravede (forse) l’alba ma Orwell resta in agguato

Si intravede (forse) l’alba ma Orwell resta in agguato

18 Aprile 2020

Sfatando i presagi di sventura di cui la superstizione lo ha caricato, il venerdì 17 (aprile) di un anno bisestile in piena pandemia con un asteroide in arrivo e Giuseppe Conte al governo ha suscitato qualche flebile ragione di speranza di iniziare a intravedere l’uscita dal tunnel. E se in una situazione del genere ritenere che tre indizi facciano una prova è forse eccessivamente ottimistico, scorgere un cambiamento di clima è forse lecito.
Indizio numero uno: i dati confortanti del bollettino delle 18, la cui inattendibilità è ormai conclamata ma che proprio per questo sono utili a capire dove voglia andare a parare chi in questo momento ha in mano le redini del nostro Paese. Indizio numero due: l’abolizione del bollettino delle 18 (era ora!). Indizio numero tre: un documento riservato della task force guidata da Vittorio Colao, che nel classificare le attività economiche in base a livelli di rischio opta per un approccio assai “rassicurante”. E, per abbondare, ce ne sarebbe anche un quarto: un’indiscrezione Ansa secondo la quale il 4 maggio potrebbero riaprire, con tutte le misure di sicurezza, anche bar e ristoranti. Vero o meno che sia, già che qualcuno ci stia pensando significa che qualche consapevolezza inizia forse a maturare.
Se è l’effetto Colao, siamo pronti a dirlo volentieri: viva Colao! E’ importante però che su questi timidi accenni di risveglio dal sonno della ragione non prendano il sopravvento i mostri delle tentazioni orwelliane. Le quali, se nelle scorse settimane hanno assunto le sembianze di droni, elicotteri e incazzosi “restoacasisti” intenti a sputare dai balconi ai reprobi in strada, potrebbero ora materializzarsi sotto forma di una app per il tracciamento umano. Col risultato che uno strumento immaginato per il controllo del virus potrebbe finire col riattivare la diffusione del mostriciattolo cinese.
Già, perché se l’idea di un controllo informatico viene avanzata in un clima di caccia alle streghe come quello cui si è assistito nelle ultime settimane, a ben poco serviranno le rassicurazioni sul rispetto della privacy: la priorità assoluta per i cittadini sarà sfuggire a qualsiasi rischio di schedatura. E, man mano che saranno accessibili a tutti i test immunologici, scatterà la corsa al fai-da-te e ad imboscarsi in caso di presenza di anticorpi, per evitare che una segnalazione alle autorità sanitarie e l’attesa di un tampone costringano a un lungo isolamento cautelativo persone perfettamente sane e anzi già immunizzate. Col rischio che insieme ai sani a imboscarsi siano anche i malati e il contagio ricominci.
La soluzione sarebbe un po’ di elementare buon senso. La consapevolezza che la prudenza è d’obbligo ma il distanziamento non può significare alienazione. Anche perché, in caso contrario, rischiamo di trovarci fra qualche tempo con metà della popolazione alla fame e l’altra metà assuefatta a questa surreale forma di straniamento e ben avviata verso il disadattamento sociale cronico.
C’è però ancora speranza. E un segnale di ottimismo arriva proprio dalla piazza virtuale che in queste settimane ha fatto compagnia all’umanità reclusa. A inizio quarantena Facebook sponsorizzava prodotti culinari, ricette, passatempi casalinghi. Dopo un po’, supponendo che gli utenti avessero messo su qualche chilo, sono arrivate le inserzioni del fitness online, degli attrezzi ginnici domestici, dei beveroni dimagranti. In queste ore, per la prima volta, è comparso l’annuncio di una linea di prodotti per prepararsi a rincontrare al meglio esemplari dell’altro sesso.
E’ evidente che la riapertura è vicina. Facebook ha a disposizione i migliori esperti di marketing del pianeta, e difficilmente a fare affari si sbaglia. Chi l’avrebbe mai detto che la speranza di rivedere la luce sarebbe passata dalla pubblicità del “Like a virgin pack promo a 19,90 euro”?