Siamo sicuri che la donazione autologa delle staminali del cordone serva a qualcosa?
16 Maggio 2008
Il sangue presente nella placenta alla nascita è ricco di cellule staminali e può essere preso dal cordone ombelicale (collegato alla placenta) e conservato. E’ una riserva importante di cellule preziose che può essere messo a disposizione di tutti, o gettato via, oppure conservato unicamente per se stessi, talora mettendolo a disposizione degli ospedali se un paziente ne avesse bisogno. Ci si domanda quale di queste possibilità sia la migliore sia per la salute – presente e futura – di chi dona (il bambino) sia per la società. Infatti bisogna decidere se permettere solo l’impiego allogenico (donare il sangue gratuitamente per un uso pubblico) o aprire anche a quello autologo (conservare per sé il proprio sangue), non tralasciando, sia ben chiaro, di considerare le problematiche medico-legali legate alla raccolta (responsabilità e tempistica). Ovviamente non si dovrà decidere su basi preconcette, ma valutando l’effettiva e realistica utilità delle due possibilità, e valutando come rispettino e promuovano la salute di tutti. Di tutto questo avevo già parlato altrove (http://www.zenit.org/article-9645?l=italian ), riportando il parere di autorevoli società scientifiche internazionali. Certamente ci farebbe piacere che la Sanità Pubblica Italiana si muovesse attivamente e con forza per permettere un accesso di tutti i genitori alla possibilità di una raccolta pubblica di SdC, in modo che tutti i cittadini possano avere un accesso a questa fonte di possibile terapia. Purtroppo centri di raccolta ancora sono pochi e la pubblicità per la donazione è scarsa, ma questa è sicuramente una priorità; ma in quale forma?
Per parlare di questo tema, ovviamente, non possiamo prescindere dalla letteratura scientifica attuale. Un recente articolo del “Comitato di Medicina materno-fetale dei Ginecologi Canadesi” riporta che “la donazione altruistica di sangue di cordone ombelicale per un uso pubblico e il conseguente trapianto allogenico deve essere incoraggiato (…)”, ma “la conservazione per donazione autologa non è raccomandata date le limitate indicazioni e mancanza di evidenza scientifica per supportare detta pratica” (J Obstet Gynaecol Can. 2005 Mar). Nel febraio 2008 la “American Association of Obstetrics and Gynecologists” spiegava che, al momento della donazione si deve “spiegare la remota possibilità che un’unità di sangue di cordone possa essere usata dal bambino proprietario del sangue o da un membro della famiglia (approssimativamente 1 caso su 2.700). E nel marzo 2008 la “Società Americana per il Trapianto di Sangue e Midollo Osseo” dava le seguenti tre semplici indicazioni:
1) La donazione pubblica di SdC deve essere incoraggiata
2) La probabilità di usare il proprio SdC è molto piccola – difficile da quantificare ma probabilmente tra lo 0.04% (1:2500) e lo 0.0005% (1:200,000) nei primi 20 anni di vita – e perciò la conservazione di SdC per uso personale non è raccomandata
3) La raccolta per un membro della famiglia è raccomandata quando ci sia un fratello con una malattia che può essere trattata con successo con trapianto allogenico.
Dunque ci sembra che l’attuale situazione italiana che privilegia la donazione pubblica (come si fa per il sangue che gli adulti donano per le trasfusioni) sia ben motivata. La attuale situazione infatti non impedisce un uso “mirato” (permette di poter destinare alla nascita il SdC del neonato ad un parente malato), ma privilegia l’uso pubblico. Ora si tratta di implementare la rete di raccolta: una priorità imprescindibile.
Carlo Bellieni, dirigente medico neonatologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.