Sicurezza, ok della Camera ma è braccio di ferro tra Carroccio e PdL
08 Aprile 2009
La cifra della giornata ad alta tensione che si è consumata a Montecitorio si legge anche nelle facce e nelle congetture che rimbalzano tra la bouvette e il Transatlantico.
La maggioranza è andata “ko” su una parte importante del decreto sicurezza e il paradosso è che a fare harahiri è stata una pattuglia del Pdl, complice il voto a scrutinio segreto. In tutto 83 parlamentari: 44 non hanno partecipato al voto, 39 erano in missione e diciassette hanno scelto di affossare la norma contenuta nel provvedimento che fissa in 180 giorni il periodo di permanenza degli immigrati clandestini nei Cie (come peraltro indicato dalla direttiva europea) votando sì ai due emendamenti-fotocopia di Udc e Pd. Franceschini ringrazia e Casini se la gioca sostenendo che “è stata una vittoria del Parlamento”.
“La scossa di terremoto c’è stata anche qui”, sibila un leghista nel crocchio degli onorevoli con la pochette verde. Poco più in là il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano nasconde a fatica il malumore per come sono andate le cose e parla di “atto grave di irresponsabilità” commentando quel mix micidiale tra assenti e “franchi tiratori” nella maggioranza che ha impallinato uno dei passaggi strategici del decreto, sui quali oltretutto il centrodestra si gioca una buona fetta di consenso elettorale. “Sono interessato a conoscere l’indirizzo di quei parlamentari che hanno votato con l’opposizione – chiosa Mantovano – per inviare direttamente a casa loro quelle centinaia di immigrati clandestini che adesso torneranno in circolazione, essendo materialmente impossibile procedere all’identificazione in soli sessanta giorni”.
Facce tirate nelle file del Pdl. Scatta la caccia al “chi è stato” ma serpeggia pure l’irritazione per il livello di assenteismo tra i colleghi di partito ogni volta che c’è da votare. “Diciassette franchi tiratori su un gruppo di quasi trecento deputati è un dato del tutto fisiologico, ma la cosa assolutamente intollerabile sono le continue assenze di nostri parlamentari , specie quando in Aula arrivano provvedimenti così importanti” si sfoga un deputato ex Fi.
Il colpo a sorpresa, in realtà, era nell’aria. Ad accelerarlo sarebbe stata l’occasione del voto a scrutinio segreto. Le ipotesi più plausibili si snodano in un gioco di intrecci e di rimandi che chiamano in causa da un lato i rapporti tra Pdl e Lega, dall’altro gli equilibri interni al nuovo partito, battezzato da Berlusconi e Fini appena qualche settimana fa. Terzo elemento, non secondario: le recenti esternazioni del presidente della Camera sul capitolo immigrazione e integrazione – prima durante e dopo il congresso Pdl – che secondo alcuni alla fine avrebbero giocato un ruolo di “condizionamento” nel voto di qualche deputato ex An che per questo avrebbe deciso di far passare gli emendamenti dell’opposizione. Non a caso i sospetti dei leghisti si concentrano su alcuni ex An ma indirettamente le critiche sono rivolte a Gianfranco Fini perplesso su una politica delle espulsioni che come ha ricordato più volte rischia di allontanare l’Italia dall’Europa.
Partiamo dal primo punto.L’iperattivismo del Carroccio spesso usato come clava propagandistica – è la lettura prevalente nei ranghi di Fi e An – crea più di un imbarazzo (dalla questione dei cosiddetti medici-spia, al capitolo ronde solo per citarne alcuni) e una buona dose di insofferenza per i “risultati” che la Lega si porterebbe a casa ogni volta che alza la posta su questa o quella questione, con l’effetto di monopolizzare il consenso specialmente al nord rafforzando la propria posizione a svantaggio del Pdl. Il riferimento corre alle candidature per le amministrative – Brescia e Bergamo in testa – strappate a Berlusconi da Bossi nella cena di Arcore, ma anche a temi sui quali Fi e An rischiano di giocare un ruolo di rimessa. Maldipancia che nel voto segreto di oggi si sarebbero palesati come una sorta di “avviso ai naviganti”.
Ma c’è un’altra variabile che nel Pdl non si sottovaluta: la possibile reazione del Carroccio allo stralcio dal decreto legge della norma sulle cosiddette ronde decisa dal governo proprio stamani prima del voto a Montecitorio. Considerando che su questo tema i leghisti avevano spinto il piede sull’acceleratore – in Parlamento e nelle piazze specialmente al nord-, il fatto di averlo messo in stand by (sarà inserito nel disegno di legge che nei prossimi giorni affronterà l’iter parlamentare) corrisponde ad uno stop difficile da digerire. Di qui l’ipotesi che alcuni dei voti a favore dell’opposizione possano essere arrivati anche dai banchi leghisti. Una “mossa” per gridare al “tradimento” contro i “franchi tiratori” del Pdl come ha fatto il deputato Reguzzoni abbandonando l’Aula insieme al suo gruppo, in realtà una tattica per giocarsi elettoralmente il peso della bocciatura sulla permanenza dei clandestini nei Cie (altro cavallo di battaglia leghista) a due mesi dal voto amministrativo ed europeo. Ci sono poi due circostanze piuttosto curiose in proposito. La prima: le facce assolutamente distese e sorridenti dei parlamentari leghisti in pausa alla bouvette. La seconda: la parola “viva” scritta accanto all’emendamento Udc in votazione da un parlamentare del Carroccio che distrattamente ha lasciato il dossier aperto sul suo scranno. E’ un collega del Pdl a riferire di averla vista coi propri occhi e a segnalare il particolare come “indizio che porta a una prova”.
La questione interna al Pdl. E’ l’altra variabile sulla quale si concentrano le analisi post-voto. Qui il nodo sta nella definizione degli assetti interni: dalle nomine dei coordinatori regionali a quelle nel consiglio nazionale (120 componenti) agli incarichi nei vari dipartimenti. Una partita che si va chiudendo in queste ore (oggi Berlusconi dovrebbe dare il via libera) ma che risulta non essere indolore per quanti aspirano a un riconoscimento o a un “posto al sole” che vedono svanire. Non a caso, si fa notare, l’argomento già ieri teneva banco a Montecitorio suscitando maldipancia e fibrillazioni, nonostante la maggioranza fosse alle prese con l’ostruzionismo della sinistra proprio sul decreto sicurezza.
Alla fine di una giornata al fulmicotone con tanto di botta e risposta in Transatlantico tra La Russa (Pdl) e Cota (Lega) il decreto sicurezza passa con un voto “plebiscitario”: 937 sì e 6 no. Il Carroccio non ha partecipato al voto per protesta. E domani la questione sarà sul tavolo del premier nel faccia a faccia con Bossi e Maroni.
Congetture e schermaglie tra “fedeli alleati” a parte, resta sul campo il dato politico del voto alla Camera sul quale la maggioranza dovrà interrogarsi. Senza schermaglie tra “fedeli alleati” o strategie di retroguardia. E possibilmente con tutti i parlamentari al loro posto in Aula.