Silone, l’anticomunista

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Silone, l’anticomunista

Silone, l’anticomunista

01 Maggio 2020

120 anni fa, il primo maggio del 1900, nasce a Pescina – in quella Marsica che nel gennaio del 1915 sarebbe stata devastata da un terrificante evento sismico capace di mietere più di 30mila vittime – Secondo Tranquilli, destinato a diventare uno degli intellettuali più significativi del ‘900 italiano ed europeo, candidato più volte (ma senza conseguire l’ambito premio) al Nobel per la letteratura.

Giovanissimo, è tra i fondatori del PCI.

A caldo, dopo il congresso della Terza internazionale, parlando dell’artefice della rivoluzione d’Ottobre – Vladimir Lenin – fissa sul suo diario tutta la sua emozione: «quando entrava nella sala, nasceva un’atmosfera nuova, carica di elettricità».

Ma il disincanto matura presto, al punto da essere espulso – nel 1931 – dal Partito per volontà di Stalin e del suo fedele esecutore Palmiro Togliatti.

Alla fine della sua parabola, giunge a consegnare a Indro Montanelli il frutto delle sue impressioni stratificate: «Ciò che mi colpì nei comunisti russi anche in personalità veramente eccezionali come Lenin e Trotsky, era l’assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il semplice fatto che osava contraddire, era senz’altro un opportunista, se non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in buona fede sembrava per i comunisti russi inconcepibile».

Nel 1933, con lo pseudonimo di Ignazio Silone (che negli anni ’60 sarebbe diventato il suo nome legale), pubblica Fontamara, il primo dei suoi capolavori dedicati al mondo dei cafoni oppressi e indomiti e al sogno di una chiesa senza ricchezze e potere (frutto dell’influenza di Don Orione che aveva conosciuto in gioventù). «Cristiano senza chiesa e Socialista senza partito», nei suoi libri mette in scena passioni d’amore assolute e come tali impossibili. Le sue pagine ardono del fuoco sacro della ricerca della verità e dell’odio verso l’ingiustizia e il sopruso. Ne emerge un ritratto autentico della sua gente dolente, ma allo stesso tempo forte (oggi si direbbe resiliente), dignitosa, gioiosa e che trova nell’ironia un antidoto al male di vivere: il disincanto convive con la speranza di un futuro migliore.

Nonostante questi temi, la distanza siderale con l’ortodossia comunista gli fa precipitare addosso tutto il discredito e l’ostilità dell’apparato che egemonizzava la vita culturale italiana, al punto che, mentre Camus, Boll e Mann esaltavano l’originalità della sua voce, un critico come Carlo Salinari sull’Unità arriva a definirlo un «fallito rinnegato».

L’ostilità si accentua dopo un coraggioso editoriale apparso – a soli sei mesi dalla mattanza dell’aprile 1945 – sulla prima pagina dell’Avanti!: Ignazio Silone si fa portavoce di un accorato appello a «Superare l’antifascismo».

Siamo di fronte a una pagina di un’attualità sconvolgente: sconfitto il Fascismo, il nostro Paese allo stesso modo dovrebbe liberarsi dell’antifascismo e questa «necessità – afferma testualmente Silone – può essere serenamente e fortemente concepita da noi socialisti, per la semplice ragione che il socialismo non si esaurisce nell’antifascismo» e continua, auspicando che la «vita italiana» venga «disancorata dall’atteggiamento negativo dell’antifascismo».

Solo in questo modo, per il grande intellettuale abruzzese, successivamente eletto alla Costituente, si sarebbero potuti affrontare i reali problemi dell’Italia appena uscita dalla guerra, andando, allo stesso tempo, oltre le fratture vecchie e nuove che la laceravano e continuano a lacerarla.

Questa consapevolezza si fonde con la necessità di non diventare ostaggi delle logiche spartitorie, lottizzatrici e oligarchiche del nuovo potere dei partiti: «La democrazia alla quale noi aspiriamo non può essere, non dev’essere, una democrazia di comitati o di segretari federali, una repubblica dei compari; ma la democrazia, la repubblica di tutti i cittadini; una democrazia nella quale la legge protegga le minoranze dalle sopraffazioni della maggioranza e dia ogni possibilità alle minoranze di diventare a loro volta maggioranza».