Silvia, per favore, una parola contro i jihadisti

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Silvia, per favore, una parola contro i jihadisti

Silvia, per favore, una parola contro i jihadisti

12 Maggio 2020

di Frodo

Forse Silvia ti dobbiamo chiedere scusa. Non tanto per le critiche ricevute via social – quelle ormai ed ahinoi toccano a tutti – quanto per la mancata capacità della civiltà occidentale di offrirti punti di riferimento saldi cui ancorarti nelle fasi drammatiche della tua parabola da cooperante in prigionia. Forse Silvia, ti dobbiamo chiedere scusa perché non ti è venuto, naturalmente, di lottare per una Bibbia da leggere. Probabilmente i jihadisti non te l’avrebbero concessa, ma pazienza. Hai preferito il Corano. Chissà se in arabo o in italiano. La colpa, in ogni caso, è nostra: di chi ha impedito che il cristianesimo potesse rappresentare una risposta identitaria forte alle crisi esistenziali, alle tragedie personali e collettive. Diciamoci la verità: noi cattolici risultiamo un po’annacquati. Il mondo contemporaneo presenta dei pericoli, e la nostra risposta è troppo debole, troppo liquida, troppo poco chiara. Non è solo la tua storia a raccontarci questo, ma quelle dei tanti nostri connazionali che si stanno convertendo ogni giorno alla fede musulmana. C’è un vuoto di senso, e l’Europa – quello che l’Europa è attualmente – non è in grado di colmarlo. Abbiamo poco da lamentarci per la tua scelta. Quelli che hanno svuotato un messaggio salvifico dal suo significato siamo noi occidentali.

Sì, ti sei convertita all’islam, ma a quale? Non è tutto uguale, purtroppo. Tanti te lo chiedono in queste ore di felicità concitata. Ma non è di certo la prima domanda cui devi rispondere. Non è una priorità. La tua famiglia, ora, è la priorità. Forse non sta a noi chiederti se la tua “conversione spontanea” sia il frutto di una manipolazione psicologica. Forse non lo sai neppure tu. Forse non dovremmo essere noi domandarti quali rapporti tu abbia avuto con i terroristi di Al Shabaab. Forse hai dovuto subire talmente tante vessazioni da non voler ricordare. Quelli – dici – non ti avrebbero trattata male.  In parecchi non ci credono. Altrettanti non ci vogliono credere. Forse non dovremmo essere noi ad affermare che qualcosa dovrebbe essere chiarito dalla Onlus con cui sei partita. Non sei stata abbastanza protetta? Forse non dovremmo essere noi a sollevare tutte queste questioni.

Questo è un paese giornalisticamente allergico alle domande: si tende, anche volentieri, a quella che Michel Houllebecq ha chiamato “Sottomissione”. Solo che da queste parti non ci si sottomette all’islam, almeno non così spesso, ma al potere precostituito. E allora le domande scomode non vengono proprio poste. Per esempio: la cittadina Silvia Romano è consapevole del messaggio politico comportato dalla veste verde che ha indossato mentre atterrava in Italia? La Romano sa che quella non è una veste somala – come ha specificato Maryan Ismail – ma un simbolo dell’organizzazione che ha costretto la nostra connazionale a mesi di sequestro? Sicuramente no. Ora, comunque, non è il tempo delle domande. Ce lo diranno e ce lo diciamo da soli. Silvia sei appena tornata ed è giusto che tu possa rasserenarti. Ne hai un diritto assoluto. Poi, quando vorrai e ti sentirai pronta, potresti dire due parole di condanna nei confronti dell’ideologia estremista che ti ha impedito di essere una semplice cooperante ventiquattrenne con la ferma volontà di aiutare i meno fortunati. Sappiamo che non hai marito. Sappiamo che non sei in stato interessante. Non sospettiamo nulla su di te. Abbiamo solo bisogno di sentirti dire che Al Shabaab, organizzazione autrice di migliaia di eccidi, è la cosa più distante da te che esista al mondo. Ne va un po’ di quel messaggio annacquato, che i pochi lettori della Bibbia rimasti tenderebbero a voler difendere. Sempre che il politicamente corretto lo consenta.