Siria, il regime dà via libera a ritorsioni contro Israele

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Siria, il regime dà via libera a ritorsioni contro Israele

08 Maggio 2013

Due anni di guerra, cento mila morti e molti dubbi sul futuro: questo il bilancio del conflitto  in Siria nel cui fronte di opposizione si annidano anche cellule quaediste. Alla guerra civile nel paese arabo hanno preso parte volontari musulmani di Nord Africa, Medio Oriente, Caucaso ed Europa. Poi, il 10 Aprile, in un messaggio audio   Mohamad al Jawlani, comandante del Fronte al Nusra (Jabhat al Nusra), unità delle forze ribelli siriane, ha dichiarato che “i figli del Fronte al Nusra giurano fedeltà allo Sheikh Ayman al Zawahiri”, il medico egiziano a capo di Al Quaeda dopo la morte di Bin Laden.

Il Fronte,  realtà bene organizzata ed agguerrita nella lotta ad Assad, il 20 aprile scorso ha preso parte al meeting di Istanbul dei Paesi Amici della Siria durante il quale il generale Selim Idriss del fronte di opposizione armata ha ribadito la convinzione che per battere Assad l’unica via sia la forza e che, pertanto, gli aiuti delle nazioni amiche del popolo siriano debbano aumentare. I ribelli battono cassa di fronte al segretario di stato americano John Kerry che, dal canto suo, non ha nascosto  preoccupazione per la presenza al meeting dei jihadisti di al Jawlani, in un momento peraltro molto delicato nel quale la politica americana stava dibattendo su come concretizzare l’aiuto Nato agli anti Assad.

L’esito negativo della verifica ONU relativa all’impiego di armi chimiche nel conflitto siriano (6 Maggio) ha spinto Obama a rivedere la teoria dell’intervento militare in Siria. Un bene? Sì, secondo il Presidente USA, anche se è plausibile che la Casa Bianca possa decidere di seguire la linea del senatore repubblicano Mc Cain, ovvero  sostenere e rifornire il fronte d’opposizione al regime di Damasco senza un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto mediorientale. Un piano, quello di Mc Cain, simile all’ Operazione Cyclone degli anni Ottanta con la quale il democratico Charlie Wilson avallò l’aumento dei rifornimenti ai mujhaideen afgani impegnati nel contrastare l’Armata rossa.

Ma potrebbe essere proprio questo il punto di svolta della guerra civile in Siria:  come accadde in Afghanistan dopo la ritirata sovietica, nel 1991, le armi inviate dagli americani potrebbero essere usate da fazioni tra loro in lotta per il controllo della Siria, creando una forte instabilità politica. Certo la Siria non è l’Afganistan e probabilmente non vedremo un regime talebano  a Damasco, tuttavia  il legame tra Jabhat al Nusra e al Zawahiri non può non suscitare preoccupazione per il futuro del paese arabo che si affaccia sul Mediterraneo. Gli assetti futuri della Siria, tuttavia, non sono messi in pericolo soltanto dall’estremismo islamico, poiché i rapporti con il vicino Israele si fanno sempre più tesi, in particolare dopo il recente attacco aereo dell’aviazione di Tel Aviv contro siti di armi che potrebbero finire in mano ai terroristi islamici piuttosto che agli alleati di Bashar Al Assad in Libano, l’Hezbollah.

Secondo il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, Damasco avrebbe dato via libera a gruppi del terrorismo palestinese di attaccare Israele. Nemmeno una settimana fa, sulla striscia di Gaza, le forze di sicurezza di Hamas hanno arrestato sei salafiti con l’accusa di furto d’armi e progettazione di attacchi nella Striscia. Coincidenze? Forse no, perché alla notizia dell’arresto sono seguite manifestazioni di protesta di altri salafiti secondo Hamas autori di lanci di razzi non autorizzati contro il territorio israeliano. Se il conflitto siriano dovesse estendersi all’intero Medio Oriente lo scenario che potrebbe prospettarsi andrebbe ben oltre i timori di Kerry.