Siria, Israele rassegnato a un conflitto che non vuole

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Siria, Israele rassegnato a un conflitto che non vuole

Siria, Israele rassegnato a un conflitto che non vuole

01 Settembre 2013

Gerusalemme. C’è un Paese che non c’entra niente, non fa parte della coalizione che Obama sta cercando di mettere insieme per attaccare la Siria (ciò che ormai può accadere ad ogni momento dopo che sono partiti gli inviati dell’ONU) ha ripetuto in tutte le lingue che non intende occuparsi dei complessi affari, le rivoluzioni, gli scontri interni, le stragi, le persecuzioni da cui sono funestati i suoi vicini. Non parteggia per nessuno.

Nel corso di questi due anni di incredibili violenze ai suoi confini, si è limitato a mordersi la lingua e a raccogliere i feriti che tracimano dalla lotta fra Assad e i ribelli oltre il Golan, e curarli nei suoi ospedali. Questo Paese si chiama Israele, ed è l’unico contro cui i siriani e i loro alleati iraniani minacciano vendetta per ciò che si prepara. Nelle ultime ora la radio siriana trasmette musiche marziali, le milizie alawite si preparano e gli ufficiali intervistati affermano che ogni arma sarà usata in caso di attacco, ovvero allude all’uso delle armi chimiche che Assad ha accumulato in grandi quantità. Lunedì Khalaf Muftah, presidente del Baath, il partito di Assad, ha detto alla radio che "Israele cadrà sotto il fuoco se gli USA e i loro alleati lanceranno un attacco contro la Siria" e ha aggiunto: "Abbiamo armi strategiche (cioè armi chimiche), sappiamo usarle, ed esse sono normalmente puntate contro Israele".

Hossein  Sheikcholeslam, il direttore generale degli affari esteri del Parlamento iraniano, ha detto che se un attacco ci sarà il regime sionista ne sarà la prima vittima. Afif Nablusi, un clerico legato a Hezbollah ha dichiarato che il Libano risponderebbe a un attacco contro la Siria, e che Israele sarebbe colpito. Ed è noto che la distruzione di Israele è lo scopo sociale degli Hezbollah. Il ministro degli esteri libanesi Adnan Mansour ha detto a sua volta che "la minaccia viene direttamente da Israele, sfrutterà l’attacco contro la Siria per affrontare gli Hezbollah".

La risposta di Israele è un cauto procedere verso l’azione eventuale, il sistema antimissile è schierato al confine, la radio spiega di continuo che il rischio è il minimo, che Assad non sarà così pazzo da esporsi a meno di un attacco molto aggressivo, che nel 2007 non ha risposto quando Israele gli ha distrutto gli impianti nucleari. La folla in coda litiga davanti ai centri di distribuzione delle maschere antigas (con le file gli israeliani sono peggio degli italiani), la tv spiega di nuovo che non è sulla maschera che si punta ma semmai sull’abilità dell’esercito. Infatti, di maschere ne mancano ben il 40 per cento.  Netanyahu ripete un messaggio uguale: "Noi non ne vogliamo sapere niente, ma ho un consiglio da amico: non ci provate".

Il miluim, ovvero le riserve, sono state mobilitate, ma solo nel numero di mille uomini, quasi tutti dei servizi d’informazione perché se mai  qualche missile partisse verso Israele, la sirena che chiede di correre  ai rifugi (anche quelli in disordine, la gente li apre e li spazza, ci mette qualche bottiglia d’acqua e la radiolina) è la cosa più importante. Tutti fanno, tutti preparano, ma l’uso consolidato in 60 anni è calmarsi a vicenda, ridere del pericolo incombente, fare i buffoni con le maschere per i bambini.  Assad sa che se attacca Israele, è la sua fine. Ma ciò che non è ragionevole, lo è tuttavia in Medio Oriente, e qui è d’uso dire "muoia Sansone con tutti i Filistei".

Assad ha usato, dopo aver fatto centomila morti, l’arma che in fondo era l’unica proibita da un consesso internazionale inetto, perché provocarne la reazione? Forse semplicemente uno dei suoi ha spinto il bottone, la quantità non era giusta, la valutazione sulla diffusione delle notizie errata, la valutazione politica sbagliata (mi hanno lasciato far tutto, sarà così anche adesso?), o la sua nevrotica perfidia fuor di controllo? Non si sa: gli idioti possono ancora agire e costringere gli israeliani a correre nei rifugi e a usare le maschere. Quando Saddam Hussein sparò qui decine di missili, agli americani interessava soltanto che Israele stesse buona, che non rispondesse, e tanto insistettero che  Yzchack Shamir, che non era un tipo facile, ubbidì. Ma la Siria ha il confine con Israele, e anche gli Hezbollah armati da decine di migliaia di missili iraniani, piazzati nel sud del Libano. E l’Iran è in agguato.

Guai a mostrarsi deboli. Benjamin Netanyahu ha detto, a chi l’avesse in mente, di non provarci. Si sussurra che gli americani gli abbiano già chiesto, nell’eventualità di una risposta israeliana, che sia lieve. Certo è che il mondo conta da decenni su questo piccolo Hans con il dito nella falla della diga da cui l’oceano è pronto a dilagare, un popolo che ormai è abituato a vedersi ascritte tutte le colpe del colonialismo, del capitalismo, dell’imperialismo, degli americani, e, quel che più conta, è combattere la battaglia di tutti per la democrazia in una zona dove l’islamismo è in continua crescita.

Ci fosse stata, adesso, una sola voce, in inglese, in francese, in tedesco, che avesse detto: noi stiamo venendo da quelle parti, ma non vi preoccupate, se ci sarà bisogno avrete il nostro sostegno. Nessuna. 
Sono cominciate le scuole, la radio parla al cinquanta per cento con la voce dei bambini che raccontano le loro emozioni. Per l’altro cinquanta, con la voce della guerra. Non abbiate paura, dice, yhie beseder, andrà tutto bene, e tanto vi basti.

(Tratto da Il Giornale)