Sofri e Contrada detenuti speciali: uno in Tv, l’altro in cella

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Sofri e Contrada detenuti speciali: uno in Tv, l’altro in cella

Sofri e Contrada detenuti speciali: uno in Tv, l’altro in cella

Le prigioni italiane sono di
nuovo traboccanti. A breve il numero dei detenuti tornerà a superare quota
50.000 e l’effetto dell’indulto, in sostanza, svanirà del tutto, con buona pace
di sostenitori e detrattori. Le polemiche che sono nate intorno ad un
provvedimento, dapprima sostenuto e poi improvvisamente rinnegato dalla
stragrande maggioranza delle forze politiche, verranno così restituite a quella
sorta di oblio ad intermittenza in cui, del resto, da tempo versa anche la
disastrosa situazione delle nostre carceri.

Ci sono, dunque, 50.000
detenuti, ma l’attenzione della stampa, della politica e della magistratura
sembra concentrata solo su due di loro: Adriano Sofri e Bruno Contrada. I
destini, per molti versi simili e sotto altri aspetti opposti dell’ex leader di
lotta continua e dell’ex funzionario del Sisde negli ultimi tempi si sfiorano
di continuo, per poi riprendere, come se nulla fosse, ciascuno la propria
strada.

Il caso ha voluto ancora una volta
che, proprio mentre il Quirinale faceva sapere di aver revocato la procedura,
avviata alla vigilia di Natale, per la concessione della Grazia a Bruno
Contrada, la Rai
confermasse che Adriano Sofri avrebbe concesso un’intervista in diretta nel
corso della trasmissione “Che tempo che fa”.

Accostare in questo modo due
vicende così complesse e a loro modo drammatiche è brutale e, probabilmente, è
il frutto di una semplificazione eccessiva e sbagliata. Eppure la coincidenza
di oggi non è di certo l’unico tratto che accomuna le due storie, che, nel
clamore degli episodi di cronaca da cui sono scaturite, come nel farraginoso iter
giudiziale, presentano sorprendenti analogie.

Il processo di Sofri per
l’omicidio Calabresi, esattamente come quello di Contrada per associazione mafiosa,
è durato troppo a lungo ed entrambi sono passati attraverso continui
ribaltamenti di verdetti che sembravano rimbalzare di Tribunale in Corte
d’Appello, con ripetuti interventi della Corte di Cassazione, per poi chiudersi
nell’incertezza del giudizio di rinvio. Il funzionario del Sisde, come il
leader di lotta continua, si è sempre professato innocente ed il primo, al pari
del secondo, è stato condannato in base a testimonianze sulla cui attendibilità
si è discusso molto nelle aule giudiziarie, e ancor di più tra giornali e
televisione.

Del resto, gli stessi reati
contestati, quello di concorrente “esterno” in associazione di stampo mafioso
per Contrada e quello di mandante “morale” dell’omicidio Calabresi per Sofri,
hanno una connotazione in qualche modo vaga, che senz’altro ha contribuito a
caratterizzare ancor di più in termini di incertezza le loro storie. In fondo
alle rispettive vicende processuali, in ogni caso, è venuta fuori tutta la
dignità di due condannati che, in nome della loro professata innocenza, hanno
sempre rifiutato di avanzare la domanda di grazia.

Sia per Sofri che per Contrada
il procedimento per la concessione dell’atto di clemenza ha comunque avuto
avvio, ai tempi di Castelli e Ciampi, con il ministro di Giustizia leghista che
si opponeva agli impulsi del presidente della Repubblica di area ulivista, e
oggi, nell’era di Mastella e Napolitano, con i propositi di un guardasigilli ex
Dc frustrati da un capo dello Stato di antica estrazione comunista.

Così, mentre Sofri è diventato
la bandiera della sinistra che proponeva al Paese di lasciarsi alle spalle gli
anni del terrorismo, senza riflettere su cosa ciò possa significare per chi
ancora oggi piange dei morti valorosi ed innocenti, Contrada sembra, suo
malgrado, assurgere ad emblema della lotta ad una giustizia che, su certi temi,
è spesso apparsa malamente ispirata nella propria altalenante severità.

Tuttavia, è fortissima la
sensazione che la strumentalizzazione intorno alla figura di Sofri sia stata
più efficace di quella incentrata su Contrada. La malattia del primo è infatti
valsa la concessione degli arresti domiciliari, sfociati nel permesso per una nuova
apparizione televisiva, mentre il prolungato ricovero del secondo non ha avuto
lo stesso effetto. Contrada, dunque, era in carcere, mentre Sofri parlava dai
canali della Tv di stato.

Probabilmente, invece, il
giorno della grazia non arriverà mai, né per l’uno né per l’altro, perché il
Presidente Napolitano ha annunciato senza mezzi termini che non ci sarà provvedimento
di clemenza per chi ancora invoca l’assoluzione. E soprattutto perché, quando
ci sono di mezzo, sia pure indirettamente, interessi elettorali, la politica
non ama fare sconti, nemmeno di fronte a vicende umane di questa portata. Tutto
sommato ciò non sarebbe un male, se solo il nostro sistema giudiziale non fosse
così balordo da affidare ad un provvedimento di clemenza, piuttosto che al
processo ordinario o alla sua revisione, l’unica opportunità di fare giustizia,
in un senso o nell’altro, su due dei casi giudiziari più importanti della
storia recente del nostro Paese.