Solo (finalmente) solo canzonette… Il Covid libera il Festival dall’agenda radical chic
03 Marzo 2021
Sono solo (o quasi) canzonette, pane amore e fantasia (non troppa), tutto il resto era noia e questa atmosfera sospesa determinata dall’emergenza Covid se lo è portato via. Senza troppi crucci, quasi un ritorno alle origini (anche se a ripensare a musica interpreti, delle origini, che nostalgia canaglia…).
Parliamo del Festival di Sanremo. Quella cosa che tutti dichiarano di non guardare e tutti poi sistematicamente commentano con dovizia di particolari, dando prova di non essersene persi nemmeno un istante. Non perché sia qualcosa di imperdibile, specie da qualche anno a questa parte. Ma perché trattasi di un rito collettivo, e da che mondo è mondo ai riti non ci si sottrae, foss’anche solo per contestarli.
La vera novità di quest’anno, assai più delle sedie vuote e dei suonatori in mascherina, è la scomparsa o quasi dalla scena dei temi “impegnati” di cui all’agenda radical chic: niente fiocchetti arcobaleno, niente barconi vaganti nel Mediterraneo, niente Greta, niente meditazioni corrucciate sulla cattiveria dell’uomo occidentale. Sì, per carità, qualche concessione è d’obbligo, ma proprio il minimo sindacale: un paio di scarpette rosse posate a terra durante l’esibizione di una grandissima Loredana Berté (settant’anni e non sentirli); l’infermiera che un anno fa aveva postato una foto con i segni della mascherina, poi diventata virale, per significare la durezza della lotta al virus cinese; la ridicola tarantella dei fiori tirati fuori da un carrello e dei cartoncini prelevati dalla tasca della giacca del collega con annesso invito a “non abbassare la guardia” (che palle)… insomma, qualche obolo o poco più.
E’ come se per incanto, o per effetto della grande depressione piombata sul Paese, a preoccupare non sia più l’omofobia ma la homo-fobia. La paura che i rapporti sociali e interpersonali possano davvero rarefarsi. Il timore che anche l’amore possa perdersi, se smettiamo di raccontarlo.
E vivaddio. Certo, è presto per cantare vittoria perché di questo strano Festival s’è consumata solo la prima serata. Ma l’andazzo pare chiaro e, al netto della qualità musicale media delle proposte (da qualche anno niente di esaltante…), il ritorno delle canzonette d’amore come offerta preponderante lascia ben sperare sullo stato di salute della nostra società.
Perché l’arte e l’intrattenimento colgono sempre lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. In fondo è anche quello un mercato, e il suo target è lo stato d’animo delle persone. E questo Sanremo di sole-cuore-amore forse viene a dirci che il paniere radical chic è passato in secondo piano, e che in mezzo a tante difficoltà abbiamo davvero bisogno di restare umani.