Solo i privati possono salvare la Rai da se stessa e da Gentiloni

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Solo i privati possono salvare la Rai da se stessa e da Gentiloni

18 Gennaio 2008

Quando si parla di televisione,
la classe dirigente italiana non sa davvero che pesci pigliare. Tanto si
procede a tentoni, ci si appiglia a qualsiasi pretesto, si approfitta di
qualsiasi occasione pur di mostrarsi solleciti, che si finisce per cadere continuamente
in contraddizione.

E così, in poche ore siamo passati da un ministro delle
Comunicazioni (di centrosinistra) che applaude il presidente francese (di
destra) per la sua proposta di gestione della televisione pubblica; a un pool
di magistrati che con singolare solerzia rinvia a giudizio un ex direttore generale
RAI per imputazioni di discutibile rilievo, salvo poi ignorare completamente
l’emergenza rifiuti in Campania; a un presidente della commissione Affari
Istituzionali della Camera che convoca i direttori dei telegiornali per
ammonirli a (dis)informare i cittadini sul tema della sicurezza. E se nel caso
di Violante non ci meraviglieremo del fatto che la stessa sinistra che stigmatizzava
la censura al proposito taccia imbarazzata, e nel caso dei pubblici ministeri
napoletani potremo ben comprendere come le bollenti telefonate per un posto di
infermiera in “Incantesimo” attraggano l’audience più di cumuli esorbitanti di
monnezza, spiegarsi Gentiloni che applaude Sarkozy è davvero difficile.

Introdurre la tassazione della
pubblicità sulle emittenti private per finanziare quella pubblica in Italia
significherebbe introdurre una pesante turbativa in un mercato dagli equilibri
già delicati.

Ma come, non era l’obiettivo del ministro quello di favorire la
liberalizzazione del mercato televisivo italiano?

Non puntava Gentiloni ad
alleggerire il fardello che oggi l’azienda radiotelevisiva pubblica rappresenta
– e che sarebbe invece di fatto aggravato, secondo l’ipotesi sarkozista, da un
ulteriore balzello indiretto sui consumatori, come ha sostenuto l’ADUC?

La
proposta del presidente francese, che procede direttamente dalla sua politica
dirigista, mal si accorda con i buoni propositi del ministero italiano e con le
ipotesi da questo già formulate, anche in sede legislativa, per realizzarli.

A
tutto ciò si aggiunge un piccolo dettaglio, che all’ex paladino
dell’innovazione mediatica Gentiloni è forse sfuggito: secondo Sarkozy, oltre
alle televisioni commerciali, bisognerebbe tassare (sia pure in misura “infinitesimale”)
anche il fatturato dei nuovi mezzi di comunicazione, vale a dire Internet e la
telefonia mobile, che si troverebbero così a sostenere un gravame del tutto
immotivato.

A pensarci bene, è forse questo l’aspetto che meglio si intona alla
politica del governo Prodi: i nuovi media che sostengono i vecchi (ma ancora
nel pieno del vigore) rappresentano una situazione paragonabile a quella per
cui i giovani italiani appena entrati nel mercato lavorativo, grazie alla
riforma del sistema pensionistico, sono condannati a pagare per decenni il
mantenimento dei lavoratori, sedicenti anziani, che lo hanno appena lasciato (in
un’età in cui i loro figli potranno solo sognare l’agognato riposo).

Se davvero Gentiloni auspica che il servizio
radiotelevisivo pubblico abbandoni del tutto la forma di finanziamento legato
agli investimenti pubblicitari, dovrebbe avere anzitutto il coraggio di
ridimensionarne le pretese (e le prebende), ammettendo ad esempio che tre
emittenti terrestri (spesso in sovrapposizione tra di oro e con la concorrenza)
e innumerevoli satellitari sono decisamente troppe per i mezzi disponibili.

In secondo luogo, dovrebbe ammettere che se lo Stato – come pare – non è in
grado di provvedere da solo alle esigenze economiche del broadcasting
pubblico nulla sarebbe meglio che affidare il suo mantenimento  a un capitale privato in grado di sostenerlo.

Non è necessario gettare via il bambino con l’acqua sporca; si può rinunciare
alla pubblicità senza dover bandire ogni forma di contributo privato, basta imboccare
con decisione la via della privatizzazione della RAI, con il vincolo di
rispettare un contratto di servizio. Anche senza guardare oltralpe, il ministro
scoprirebbe che “pubblico” e “statale” non coincidono, e che
l’intervento dei privati – disciplinato e al riparo dalle forme
“selvagge” che sembrano caratterizzare l’invasione dell’etere da
parte degli inserzionisti – rappresenta una soluzione auspicabile, efficace,
poco invasiva (al contrario della soluzione sarkozista) e accettabile sia per
le emittenti pubbliche sia per quelle private sia per gli ultimi arrivati nel
campo mediatico, che proprio come i giovani lavoratori non meritano di espiare
colpe non loro.