Somalia: caschi blu in arrivo, ma le Corti islamiche avanzano

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Somalia: caschi blu in arrivo, ma le Corti islamiche avanzano

29 Aprile 2008

C’è il rischio che la Somalia torni in mano all’Unione delle Corti islamiche, la coalizione dei lignaggi integralisti islamici che nel 2006 si impadronirono delle maggiori città del paese, inclusa la capitale Mogadiscio, e quasi ebbero il sopravvento sulle istituzioni politiche di transizione appena rientrate in patria dal vicino Kenya. Fu solo grazie all’intervento dell’Etiopia, sostenuta dagli Stati Uniti, che all’inizio del 2007 le milizie delle Corti ebbero la peggio, ma da allora non hanno smesso di combattere tentando di riorganizzarsi. Adesso, all’approssimarsi dell’ennesimo incontro di riconciliazione nazionale previsto per il 10 maggio a Gibuti, che dovrebbe mettere attorno a un tavolo i portavoce del governo e quelli dell’opposizione più moderata, hanno intensificato gli attacchi e gli atti di terrorismo. Nel fine settimana si sono impadronite per alcune ore, e per la terza volta in un mese, di Johwar, il capoluogo del Medio Shabelle che si trova a soli 90 chilometri dalla capitale, e sembra che nelle ultime settimane abbiano preso il controllo di una decina di altri centri minori tra cui Qansah-Dheere, situata a 100 chilometri da Baidoa, l’attuale sede del Parlamento.

A Mogadiscio nel frattempo le truppe etiopi mettevano a segno un successo importante riuscendo a espugnare la moschea di Al Idayha, uno dei centri fondamentalisti della capitale, sede della setta Al Tabliq. Ma gli scontri violentissimi dei giorni successivi hanno lasciato sul terreno non meno di 100 morti. Si conferma dunque l’urgenza di un intervento internazionale. A chiederlo
alle Nazioni Unite, e non per la prima volta, è stato il governo somalo in
occasione della riunione del Consiglio di Sicurezza del 17 aprile aperta ai
leader africani su iniziativa del Sud Africa che per turno ne detiene la presidenza. La richiesta fa seguito a un appello lanciato il mese scorso dal
Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, ed è stata in seguito appoggiata
dalla Gran Bretagna che ha messo a punto una bozza di risoluzione in cui si
sollecitano azioni internazionali su più fronti, non escluso quello militare, per garantire lo svolgimento nel 2009 del referendum costituzionale e delle elezioni politiche come prevedono gli accordi del 2004 che hanno portato alla  formazione del governo e del parlamento di transizione.

Anche secondo Ban Ki-moon va presa in considerazione l’eventualità di sostituire con i caschi blu la Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione
Africana, operativa dallo scorso anno, ma del tutto inutile con meno di 3.000 militari forniti da Uganda e Burundi e che tale resterebbe con tutta probabilità anche se gli effettivi raggiungessero la cifra prevista di 8.000. Seguendo le indicazioni del presidente somalo Yusuf Ahmed, si tratterebbe di inviare 27.000 soldati e 1.500 agenti di polizia. Tuttavia si prevede che l’iniziativa non sarà varata in tempi brevi e quindi resterà ancora all’Etiopia il compito di tenere a bada gli ‘shebab’, i ‘giovani’: così si fanno chiamare i combattenti integralisti.

Sul versante umanitario, la prospettiva che la crisi politica non si risolva in tempi brevi è catastrofica. Le stime più recenti diffuse dall’Ufficio dell’ONU per gli affari sociali parlano di due milioni di somali da assistere e di oltre 700.000 sfollati, 20.000 al mese soltanto dalla capitale: intere famiglie, sprovviste di tutto, senza disporre neanche di un riparo di fortuna, vivono per settimane e mesi lungo il ciglio delle strade che collegano Mogadiscio al resto del paese in attesa di un mezzo che li porti lontano dai combattimenti, possibilmente verso i campi per profughi allestiti nel sud. Chi ha mezzi e conoscenze cerca di emigrare. Si calcola che da gennaio 12.000 somali abbiano varcato il confine con il Kenya cercando rifugio nei campi profughi di Dadaab, ma il flusso è in aumento e adesso i nuovi arrivi sono almeno 1.000 alla settimana. Poi ci sono i disperati che tentano la pericolosissima traversata del golfo di Aden per
raggiungere lo Yemen: dall’inizio del 2008 sono già 8.000 e centinaia sono morti durante il viaggio.