Somalia, dal caos politico emerge la sharia

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Somalia, dal caos politico emerge la sharia

Somalia, dal caos politico emerge la sharia

25 Giugno 2010

Notizie allarmanti giungono dalla Somalia dove quasi da 20 anni i clan si contendono il potere. Come è noto, il governo federale di transizione, costituito in Kenya nel 2004 sotto la pressione della diplomazia internazionale e trasferito in patria l’anno successivo, non ha mai esercitato le proprie funzioni su tutto il territorio nazionale dovendo fronteggiare la minaccia di gruppi armati, fondamentalisti e legati al terrorismo islamico, che, ad eccezione del 2007 quando l’Etiopia ha affiancato con le proprie truppe quelle governative somale, controllano vaste regioni, le principali città e persino una parte della capitale Mogadiscio.

In questi giorni un’ennesima, grave crisi politica indebolisce ulteriormente le istituzioni: quattro ministri hanno rassegnato le dimissioni ed è in corso un braccio di ferro tra il presidente, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, e il primo ministro, Omar Ali Sharmarke, il cui esecutivo è stato accusato dal ministro della difesa Yusuf Mohammed Adde – uno dei ministri dimissionari – di sostenere l’insurrezione armata. Per di più, dall’inizio del 2010, le attività parlamentari sono pressoché paralizzate poiché molti parlamentari, così come diversi ministri, vivono all’estero, in Kenya, Europa e America: peraltro la prima sessione dell’anno è stata interrotta da un violento attacco sferrato dagli Shebab, il maggiore movimento antigovernativo, che ha causato una decina di vittime tra la popolazione.

A peggiorare il quadro si sono intensificate le tensioni all’interno delle forze militari e di sicurezza governative. Gli ultimi due episodi si sono verificati a Mogadiscio. Il 12 giugno intensi scontri a fuoco hanno visto per protagonisti soldati dell’esercito e agenti di polizia. Sarebbero stati scatenati – secondo alcuni testimoni – dal tentativo di questi ultimi di rubare alcuni automezzi carichi di aiuti alimentari per la popolazione affamata. Ma, secondo altre testimonianze, i ladri erano invece i militari. Comunque sia, l’incidente ha lasciato sul terreno dieci morti e una dozzina di feriti. Poi, nella notte tra il 19 e il 20 giugno, la stessa guardia presidenziale è insorta. Per reclamare il pagamento di 10 mesi di stipendio arretrati, ha circondato Villa Somalia, la residenza del capo dello stato, minacciando di usare le armi e sono dovute intervenire le truppe della Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione Africana, per liberare il palazzo.

Anche le trattative in corso da settimane con uno dei gruppi dell’opposizione armata, Hizbul Islam, per il momento hanno ottenuto il solo risultato di indurre molti comandanti del gruppo a entrare nella fila degli Shebab e quindi passare sotto il controllo di questi ultimi i territori da loro occupati: tra i villaggi e le città ora in mano agli Shebab vi è l’importante città di Beledweyne, quasi al confine con l’Etiopia.

E, dove comandano, gli Shebab impongono la sharia interpretata alla maniera dei talebani afghani. Da tempo hanno proibito nelle scuole dell’uso di campanelle per annunciare l’inizio e la fine delle lezioni “poiché il suono è di origine cristiana”. I ladri subiscono l’amputazione delle mani, le adultere vengono lapidate, alle donne è imposto l’hijab, il velo islamico, ed è proibito indossare reggiseni. Alle limitazioni già poste ai programmi radiofonici e musicali, si è aggiunta la proibizione di seguire i mondiali di calcio in corso in Sudafrica: una trentina di persone sono state arrestate il 16 giugno perché, in violazione della nuova norma, si erano radunate in un locale pubblico di Afgoye, alla periferia sud della capitale, per assistere a una partita del campionato.

Il capo di Hizbul Islam, Mohalim Hashi, ha inoltre decretato che a decorrere dal prossimo 20 luglio tutti gli uomini di Mogadiscio dovranno farsi crescere la barba e radersi i baffi pena la fustigazione.

Suona quasi surreale, in tale contesto, l’annuncio del ministro delle risorse marine che le acque territoriali somale sono finalmente libere da pescatori illegali: grazie alla pirateria che vi imperversa e alla presenza delle forze navali internazionali che cercano senza successo di contrastarla.