Somalia. Integralisti islamici continuano ad avanzare nel Paese
18 Maggio 2009
di redazione
Dopo la presa di Jowhar, 90 km. a nord di Mogadiscio, oggi gli integralisti islamici sono entrati, sempre senza colpo ferire, in un’altra città poco lontana. Si tratta di Mahaday, dove nacque l’attuale presidente del governo a guida islamica moderata, Sheikh Ahmed.
In pratica hanno nelle loro mani l’intera regione del Medio Shebeli, a ridosso della capitale, molto importante non solo dal punto di vista strategico e militare, ma anche politico. È l’area, infatti, dove la stragrande maggioranza della popolazione appartiene all’importante subclan degli Abgal, quello del presidente, che proprio per questo riteneva tale regione una sorta di feudo. Ma la popolazione che vede il suo governo debole, non ha ricevuto aiuti e lamenta presunte nomine nepotistico-clientelari, gli ha ormai girato le spalle.
Si fa così sempre più ampia e spessa la tela di ragno che gli integralisti islamici, in larga misura ricollegabili ad al Qaida, stanno tessendo intorno agli ultimi bastioni in mano al Governo Federale di Transizione (Tfg), a guida moderata, che ormai controlla solo spicchi di Mogadiscio. I miliziani integralisti hanno tra le loro fila gli Shabaab (significa gioventù in arabo) che già controllano sud, centro e parti dell’est del Paese, e gli uomini di Izbul Islam, il Partito Islamico di cui è capo Sheikh Aweys, che può essere condiderato il leader politico degli insorti. Gli Shabaab, inoltre, si sono molto rafforzati in armi, sofisticata artiglieria pesante, e miliziani, giunti in Somalia secondo fonti concordi su aerei eritrei, anche se l’Asmara smentisce. Almeno 300 quelli arrivati di recente, in larga misura stranieri. Tra di loro molti bianchi, alcuni di provenienza occidentale. Complessivamente si calcola che in Somalia agiscano ormai oltre 5.000 miliziani islamici.
Intanto l’Etiopia ha fatto sapere oggi che non vede per ora circostanze che possano giustificare un suo nuovo intervento militare in Somalia. Vi penetrò col pretesto di ragioni di sicurezza interna, ma con la "benedizione" di Washington, alla fine del 2006. Doveva essere un’operazione lampo per far fuori le Corti Coraniche che allora governavano ampia parte del Paese (i leader ne erano l’attuale presidente e Sheikh Aweys); si è ritirata lo scorso gennaio dopo repressioni durissime, odiata dalla popolazione, ed avendo creato col suo intervento le basi per la collaborazione della popolazione – musulmana, ma storicamente lontanissima da ogni forma di integralismo – con gli Shabaab, in pura funzione antietiopica.
A Mogadiscio oggi vi sono stati scontri di scarso rilievo, ma il bilancio dall’inizio dei combattimenti, il 7 maggio, è pesantissimo: circa 200 morti ed oltre 500 feriti, quasi tutti civili, e 42.000 persone in fuga dall’inferno della capitale. Il Governo federale di Transizione (Tfg) appare isolato, asserragliato ormai in pochi bastioni. Mentre le truppe di pace panafricane, poco più di 4.000 uomini, non escono dalle loro casematte.