Sono tanti gli editori che hanno reso onore alla Toscana Felix

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Sono tanti gli editori che hanno reso onore alla Toscana Felix

22 Marzo 2009

Riviste, caffè letterari, movimenti d’avanguardia: fino a un certo punto, il capoluogo toscano è stato il cuore pulsante della cultura italiana. Non c’era novità di un certo livello che non passasse per Firenze, una “cucina” dove venivano preparate e sperimentate le nuove pietanze di parole da scodellare all’Italia intera. Tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo successivo, era, insomma, la culla letteraria della nazione. E, va da sé, dell’artigianato editoriale. Primato che avrebbe perso a partire dagli anni Quaranta, in favore dell’industria del libro che si andava sempre più potenziando fra Torino e Milano.

Impossibile citare tutti gli editori fiorentini che hanno impresso un segno nella storia dell’editoria. Spesso, peraltro, si trattava di case editrici che nascevano come costola di riviste letterarie. Ma è chiaro che un’impresa come quella della Vallecchi (che merita però un pezzo a parte) ha influenzato parecchio il modo di concepire l’attività editoriale. E le collane, i titoli spesso spiazzanti, le copertine, gli autori e i geniali consulenti (Papini e Soffici, tanto per citarne due) hanno contribuito a fare di quel marchio una delle case editrici più interessanti, vitali e influenti dell’intera storia dell’editoria italiana.

Altro nome, altra pietra miliare dell’editoria ottocentesca: Felice Le Monnier. Arrivò da Parigi e nel 1840 impiantò una tipografia. Crebbe nel giro di pochissimo, pubblicando i maggiori scrittori del tempo, ma anche i classici. Affidò la produzione a intellettuali di prestigio, ma inventò al contempo un nuovo formato dei volumi, molto pratico e moderno per l’epoca. Specialista di grandi opere come la “Storia” di Cesare Cantù e la “Storia della letteratura italiana” di Paolo Emiliani Giudici, Le Monnier fece virare lentamente la produzione verso il settore scolastico. E ancora oggi il marchio resiste, perlopiù orientato al mondo della scuola.

Analoga parabola quella di Giulio Cesare Sansoni, che iniziò quarant’anni dopo rispetto al suo collega francese. Sansoni, marchio che oggi è a sua volta conosciuto per i libri destinati a matricole e scolaretti, agli inizi poté vantare un collaboratore d’eccezione come Giosuè Carducci, fondatore e direttore di una delle collane forse più longeve della storia dell’editoria di casa nostra: “La biblioteca scolastica di classici italiani”. Inaugurata nel 1885, ebbe vita sino al 1954. L’iniziativa era rivolta “con criteri scientifici e filologici” agli studenti delle scuole superiori. In una circolare interna, Carducci segnalava ai suoi collaboratori che il testo di ogni opera doveva “essere naturalmente curato e condotto sui testi originali e più importanti”.

Ci piace, tuttavia, rendere onore a un editore che dal 1861 ha mantenuto intatto marchio, gestione familiare e indirizzo editoriale: Leo Olschki. Il capostipite che le diede il nome, originario della Prussia orientale, la fondò nel 1886. Come racconta Nicola Tranfaglia, “appartenne a una famiglia di tipografi ebrei specializzati nella stampa di testi esoterici e libri talmudici”. E ancora: “Fu tra quegli editori stranieri che si stabilirono in Italia riuscendo a dar vita a una significativa e duratura impresa editoriale che ebbe come punto di partenza e di riferimento l’attività libraria: fu il caso di Loescher a Torino, Hoepli e Sperling a Milano, Detken a Napoli”.

Leo Olschki fu innanzitutto un grande esperto di libri rari e preziosi e non è un caso che ancora oggi la sua attività di editori si orienti – siamo alla quarta generazione – su questioni bibliografiche con particolare attenzione alla storia della stampa. Volumi pregevoli, spesso su materie poco battute. E, come spiegano gli editori con giusto compiacimento, “‘la sigla dal cuore crociato e diviso’, come la definì Gabriele D’Annunzio, è familiare agli specialisti, agli studiosi, ai bibliotecari di tutto il mondo e ha un particolare significato per gli istituti culturali e le università”. Oltre metà della loro produzione, infatti, è destinata all’estero. Il che, obiettivamente, spiega bene il senso di un’attività che ha il merito di portare oltre i nostri confini la cultura italiana e le sue “storie minime”.

Così spiega Umberto Eco: “Questa casa editrice, che pure pubblica ogni anno autori nuovi su argomenti anche imprevedibili, e mai prima studiati, non è mai andata a caccia di novità, né di altissime tirature. Alterna una attività d’archivio, e di ristampa di opere antichissime, al proposito di investigare con occhio contemporaneo antichi scartafacci, e alla luce di una robusta tradizione rilegge non solo Ficino ma anche Palazzeschi. Un catalogo Olschki trasmette il gusto della lettura del catalogo antiquariale anche quando ci parla di un libro sulla Resistenza, salvo che a differenza del catalogo antiquariale permette sia di immaginare sia, volendo, di possedere”.