Sono trent’anni che l’America parla con l’Iran senza ottenere niente
05 Ottobre 2009
I colloqui di Ginevra tra amministrazione Obama e Iran sono stati accompagnati da una diffusissima ed errata convinzione: quella secondo cui le precedenti amministrazioni si sarebbero rifiutate di negoziare con i capi di quel paese. La verità, come ha ricordato il segretario alla Difesa Robert Gates lo scorso ottobre alla National Defense University, è che “tutte le amministrazioni, sin dal 1979, hanno preso, in un modo o in un altro, contatto con gli iraniani. E tutte hanno fallito”.
Dopo la caduta dello scià, nel febbraio del 1979, l’amministrazione Carter tentò di stabilire relazioni amichevoli con il regime rivoluzionario. Offrimmo aiuti, armi e comprensione. Gli iraniani chiesero che l’America rispettasse tutti gli accordi militari già assunti verso lo scià, restasse zitta sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal nuovo regime e consegnasse i “criminali” iraniani che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti. I colloqui terminarono con l’occupazione dell’ambasciata Usa, in novembre.
L’amministrazione Reagan, spinta dal desiderio di ottenere il rilascio degli ostaggi americani, verso la metà degli anni ’80 – nel bel mezzo della guerra con l’Iraq – cercò di trovare un modus vivendi con l’Iran. All’Iran vennero vendute armi, e fornite informazioni di intelligence. Alti funzionari americani, come ad esempio Robert McFarlane, si incontrarono segretamente con rappresentanti del governo di Teheran per discutere delle relazioni future tra i due paesi. Questi sforzi ebbero fine con lo scoppio, nel 1986, dello scandalo Iran-contras.
L’amministrazione Clinton revocò le sanzioni imposte da Carter e Reagan. Per la prima volta dagli anni ’70, cittadini iraniani, inclusa anche la selezione nazionale di wrestling, entrarono negli Stati Uniti; venne ospitata una serie di eventi culturali iraniani, si scongelarono i depositi bancari iraniani. Il presidente Bill Clinton e il segretario di Stato, Madeleine Albright, si scusarono pubblicamente con l’Iran per le colpe commesse in passato, tra le quali il rovesciamento nell’agosto del ‘53 del governo guidato da Mohammed Mossadegh da parte di Cia e servizi inglesi.
Più recentemente, l’amministrazione di George W. Bush – invariabilmente e falsamente descritta come del tutto priva della volontà di trattare con i mullah – ha intavolato ampi negoziati con Teheran. Ci sono stati diversi incontri pubblici, e almeno una serie di incontri tenuti accuratamente segreti. Di questi ultimi si è raramente parlato sui media americani, ma sono stati il soggetto di un documentario della BBC intitolato “L’Iran e l’Occidente”.
Dietro richiesta del ministero degli Esteri inglese Jack Straw, gli Stati Uniti avviarono serrati negoziati con Ali Larijani, all’epoca segretario del consiglio di sicurezza iraniano. Il segretario di Stato Condoleezza Rice e Nicholas Burns, il suo principale aiutante per il Medio Oriente, volarono a New York per attendere l’arrivo di una delegazione iraniana, per accogliere la quale, la settimana precedente, erano state preparate trecento visti d’ingresso. Si pensava che Larijani avrebbe annunciato la sospensione del programma d’arricchimento nucleare. In cambio, avremmo annullato le sanzioni.
Ma Larijani e la sua delegazione, contrariamente a quanto era stato promesso in precedenza, non arrivarono mai. L’episodio è raccontato nel reportage messo in onda dalla BBC.
I negoziati sono sempre stati accompagnati da sanzioni. Ma nessuna delle due cose ha mai prodotto cambiamenti nell’atteggiamento iraniano.
Fino alla fine del 2006 – e nonostante le esortazioni, soprattutto da parte di Clinton, affinché avessero un appoggio internazionale – le sanzioni erano esercitate quasi esclusivamente dai soli Stati Uniti. Carter ordinò di vietare la vendita a Teheran di qualsiasi cosa, a eccezione di cibo e medicinali. Nel 1987, Reagan proibì l’importazione di praticamente ogni bene prodotto in Iran. Nel marzo 1995, Clinton approvò un provvedimento che vietava alle compagnie petrolifere Usa qualsiasi collaborazione nelle attività iraniane. Poi, a maggio, arrivò una seconda direttiva che rendeva tale divieto ancor più severo. Cinque anni più tardi, il segretario di Stato Albright alleggerì le sanzioni permettendo agli americani di comprare e importare tappeti e alcuni prodotti alimentari quali frutta secca, noccioline e caviale.
Bush, nel 2006, cancellò le parti di ricambio per aerei civili dalla lista d’embargo. D’altro canto, nel 2008 revocò l’autorizzazione ai cosiddetti “U-turn transfers”, rendendo illegale per le banche americane eseguire transazioni che coinvolgevano soggetti iraniani, anche se gli estremi iniziale e finale dell’operazione erano banche non iraniane.
Per tutto questo periodo, i nostri alleati hanno chiesto più diplomazia e meno sanzioni. Ma, a cominciare dal 2006, le Nazioni unite hanno iniziato a imporre sanzioni per conto loro. Nel dicembre di quell’anno, il Consiglio di sicurezza ha bloccato l’import-export di “materiale ed equipaggiamento nucleare sensibili”, e ha esortato gli stati membri a congelare i beni di qualunque soggetto implicato nel programma nucleare iraniano.
Nel 2007, il Consiglio di sicurezza ha vietato tutte le esportazioni di armi verso l’Iran, ha congelato le attività iraniane e posto restrizioni agli spostamenti di chiunque avesse a che fare col programma nucleare iraniano. L’anno seguente, ha chiesto che venissero svolte indagini sulle banche iraniane, e ha autorizzato gli stati membri ad avviare le ricerche di navi e aerei diretti o provenienti dall’Iran. Ma tutto è stato vano.
Trent’anni di negoziati e sanzioni non sono riusciti a farla finita con il programma nucleare iraniano, e con la sua guerra all’Occidente. Perché qualcuno dovrebbe pensare che funzioneranno adesso? Un cambio in Iran richiede un cambio del suo governo. Buonsenso e morale suggeriscono di sostenere il coraggioso movimento d’opposizione, i cui leader hanno promesso la fine dell’appoggio al terrorismo e la totale trasparenza riguardo al programma nucleare.
Michael A. Ledeen, è Freedom Scholar della Foundation for Defense of Democracies di Washington. Il suo prossimo libro, Accomplice to Evil: Iran and the War Against the West, uscirà negli Stati Uniti il 13 ottobre, edito dalla St. Martin’s Press.
Tratto da The Wall Street Journal
Traduzione di Enrico De Simone