Sostegno e rammarichi di un vice-sindaco berlusconiano

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Sostegno e rammarichi di un vice-sindaco berlusconiano

14 Novembre 2011

Egregio Presidente Berlusconi,

voglio esprimerle la mia solidarietà per quanto accaduto nei giorni scorsi, quando, nonostante si sia comportato da "uomo delle istituzioni", il clima da capro espiatorio creatosi nelle ultime settimane l’ha vista bersaglio di insulti e atteggiamenti da "regime abbattuto". La parola libertà – che ha voluto mettere a base del nostro partito – è una ricchezza che si riesce a misurare solo quando non la si ha. E di questo – specie gli italiani delle ultime generazioni – sono poco consapevoli.

Questo paese ha la tendenza ad avere la memoria corta e difficilmente fa esperienza di quanto accaduto nel suo più o meno recente passato. Non tutti quelli che la fischiavano hanno fatto memoria che trenta anni fa a fischiare erano le pallottole delle P38, che si infilavano nelle carni di chi la libertà l’ha conquistata per noi, difendendo anche al prezzo della vita le nostre istituzioni. La memoria del nostro popolo è corta al punto tale da far pensare che chi tirava monetine ieri, un mese fa condannava chi lanciava estintori contro la polizia. Non sarebbe la prima né l’ultima contraddizione di questa nostra nazione.

Ma le esprimo tutta la mia solidarietà anche e soprattutto perché è indiscutibilmente vittima di un disegno destabilizzante, fondato non sulla ragion di Stato, ma sul tentativo di salvare le economie più forti a danno di quelle più deboli, in nome dello storico errore di pensare che l’Europa possa trovare la sua unità non attraverso i valori, ma il "valore": la moneta unica. Lei Presidente paga il prezzo di una cambiale messa all’incasso da parte di un creditore (con il consenso di una certa parte della politica nazionale) che ben sapeva quali sarebbero state le conseguenze, anzi le auspicava. E di fronte ad una scadenza del genere, è stata travolta anche la sua profonda certezza che questa nazione ha i numeri per superare ogni difficoltà. Questo attacco era troppo imponente e quindi non se ne faccia una colpa.

Se di colpe si vuole e si può parlare in questo tempo di giudizi politici allora bisogna guardare ben oltre e ben più indietro. Innanzi tutto alle colpe di quella parte della classe politica, di destra e di sinistra, che arroccata dietro agli scranni parlamentari si è mostrata troppe volte e troppo a lungo incapace di rispondere ai bisogni della società reale, limitandosi alla logica della cieca e acritica contrapposizione e dell’eliminazione dell’avversario.

Se ancora di colpe di può parlare si rammarichi di quegli uomini che l’hanno affiancata in questi anni e che non sono stati in grado di dimostrare un reale spessore nell’agone politico, figli non di una storia di impegno, ma di una modalità di elezione lontana dal principio di rappresentatività e dal merito. E si rammarichi anche del grave errore politico di non essere andato nuovamente alle elezioni dopo lo strappo con Fini. Avrebbe dovuto ascoltare la sua "base" che era pronta a spendersi per farla uscire con una maggioranza ancora più forte dalle urne. Purtroppo, però, ha creato un partito la cui struttura tutto ha fatto tranne che cercare di collegarsi con la gente. Con i nuovi numeri – ne sono certo anche per l’inconsistenza degli oppositori – avrebbe potuto cambiare un paese strutturalmente malato, ingessato da anni di assistenzialismo e costi insostenibili. Avrebbe potuto ad esempio portare a compimento la riforma di quella giustizia che, malata ormai alla radice, non è più in grado di svolgere alcun ruolo di garanzia per i cittadini. Avrebbe potuto riformarlo il sistema giudiziario, non cancellando i processi, ma eliminando quelle forme distorsive dell’amministrazione della funzione che, favorite dal vuoto della politica (la vicenda Papa ne è emblema), hanno oltrepassato i confini della gente comune estendendosi fino alle aule parlamentari. Cambiare il sistema giustizia non è reato; anzi rende una nazione più competitiva sul mercato e, per quanto sommessamente e tardivamente, anche l’UE è stata costretta a chiedercelo.

Peccato, Presidente. Oggi le monetine sono quelle che fanno più male, ma non sono le sole a farci male.

Nelle sue scelte future, non entro. Solo questo le chiedo, da amministratore che quotidianamente tenta di interpretare e rispondere ai bisogni della gente: a prescindere dal fatto se proseguirà o meno nel suo impegno diretto, di farsi rappresentante di una Politica in grado tornare ad essere guida per una nazione moderna, che cresce e si sviluppa nel rispetto di valori non negoziabili. In questo sta il senso di responsabilità che tutti noi, che lei e nel mio piccolo anche io, siamo chiamati ad assumerci.

Cordialmente
Massimiliano Vivenzio
Vicesindaco del Comune di Merate (Lc)