S&P taglia il rating, Italia resta “sorvegliato speciale”

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S&P taglia il rating, Italia resta “sorvegliato speciale”

09 Luglio 2013

Standard & Poor’s ieri ha tagliato il rating dell’Italia da BBB+ a BBB, parlando di "ulteriore indebolimento delle crescita", di "mancata trasmissione sulla economia reale della politica monetaria espansiva della BCE" per quanto riguarda i prestiti alle imprese, di ulteriori abbassamenti del rating nel corso dell’anno che ridurrebbero i titoli italiani a junk, spazzatura.

Ci si può rifugiare in quelle teorie di moda in casa 5 Stelle sul grande complotto che da Bildenberg alle agenzie di Rating fa rima con globalizzazione, il gran profeta di sventura Beppe Grillo del resto ha detto stiamo cadendo nel precipizio senza che ce ne accorgiamo. Oppure si può, più consapevolmente, ragionare su sovranità nazionale e indicazioni degli organismi internazionali, si chiamino rating, spread, Fmi, Ocse, eccetera.

"Come nel caso del Fondo monetario internazionale, non sarà la decisione di Standard&Poor’s a impedire l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e lo stop definitivo al punto in più di Iva. Si tratta di due provvedimenti necessari e irrinunciabili per aiutare la ripresa. Standard&Poor’s non è il Vangelo, ha sbagliato in altre occasioni e anche stavolta lo fa", ha detto il capogruppo del Pdl al Senato Schifani, difendendo l’autonomia di manovra del governo italiano.

Ma il premier Letta ieri sera a Ballarò è apparso più cauto, "l’Italia resta vigilato speciale", ha detto, perché la situazione rimane complessa, chi non lo ha capito si sbaglia di grosso". Del resto, il quadro sulle coperture per l’eliminazione o rimodulazione eventuale dell’Imu ancora non sono stati chiariti, come pure la ricetta per non aumentare l’Iva. 

Fmi e Standard&Poor’s possono sbagliarsi, e l’augurio che si può fare è che sia davvero così. Ma quando l’agenzia di rating dice che il Pil pro capite per 2013 sarà pari a 25 mila euro, "al di sotto dei livelli del 2007", fotografa una realtà che molti italiani stanno sperimentando sulla propria pelle. Non dobbiamo morire di austerity e le politiche di bilancio dello Stato italiano possono modificarsi, ma se non si affronta di petto la bestia della spesa pubblica, al di là dei pur necessari tagli ai costi della politica, il rischio di ripiombare in scenari greci o portoghesi torna a bussare alla porta.