Spagna: il coraggio di riaprire. Che differenza rispetto all’Italia!
06 Aprile 2020
La “fase 1” nei paesi più colpiti del Vecchio Continente dal Covid-19, Italia e Spagna, è quasi al tramonto e come suggerisce Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 4 aprile – guardando all’ Italia- è tempo che il decisore politico torni ad assumersi le sue responsabilità e a valutare le conseguenze di lungo periodo delle scelte effettuate.
Spagna e Italia sono andate a braccetto fino ad oggi, e Madrid ha fatto da contraltare alla nostra Milano martoriata.
In Spagna il governo ha prorogato lo stato di allarme fino al 26 aprile. Ma vi sono delle differenze rispetto al nostro paese.
La tenuta dei rapporti governo –parlamento appare più salda e anche il contatto con le Comunità Autonome più costante, anche se l’emergenza ha di fatto abrogato – nel corso della stagione emergenziale – alcune delle prerogative storiche delle Comunità.
Il Congresso dei Deputati si riunirà il prossimo giovedì e i gruppi parlamentari voteranno la proroga della chiusura generale.
Il premier ha già ricevuto rassicurazioni dai leader dell’opposizione a riguardo – e nonostante vi sia una consapevolezza diffusa sia in seno al governo che nella società civile circa l’impossibilità dopo il 26 aprile di tornare alla normalizzazione piena della vita sociale ed economica del paese, Pedro Sanchez ha più volte dichiarato di non volere creare precedenti nella violazione dell’art. 116 della Costituzione. Questo prevede che lo stato d’allarme dichiarato dal Governo, mediante decreto deliberato in Consiglio dei Ministri, abbia una validità di 15 giorni, ed ogni successiva proroga necessiti una nuova autorizzazione del Congresso dei deputati.
Intanto di pari passo all’iter parlamentare vi è una equipe guidata da scienziati e virologi che sta elaborando un piano per scaglionare (non decidere!) i tempi e i modi della ripresa dell’attività economica e sociale- stabilita dal governo. E già per la settimana dopo Pasqua si prevede la riapertura di alcuni comparti industriali insieme alla ripresa del settore della costruzione.
Sul versante europeo l’asse con Conte e la richiesta del lancio di un nuovo Piano Marshall- in salsa europea- sembra già tramontato di fronte alla palese indisponibilità del duo Rutte – Merkel. Ma sul piano interno il premier sembra voler puntare su scelte di unità nazionale per la imminente stagione ricostruttiva e, guardando alla storia recente del paese, lancia l’ipotesi di un nuovo Patto della Moncloa, simile a quello che nel lontano 1977 salvò la Spagna dalle conseguenze economiche della crisi petrolifera che avrebbe potuto mettere a repentaglio la transizione democratica.
Il patto allora fissò il tetto dell’aumento salariale al 22%. A causa dell’aumento dell’inflazione i lavoratori dipendenti persero 8% del loro potere d’acquisto, e ciò nonostante fu autorizzata la libertà di licenziare fino al 5% dei lavoratori delle imprese.
La posta in gioco, all’epoca, era impedire che la crisi economica compromettesse la riuscita del processo democratico, domani sarà impedire che la pandemia comprometta la ricostruzione economica e la qualità della democrazia.
Allora furono i centristi dell’Union de Centro Democratico e i comunisti a fare l’accordo, tagliando fuori i socialisti, che non caddero nella trappola e approvarono il Patto, oggi sono i socialisti a proporlo, guardando ai popolari. Al di là di misure economiche ancora tutte da definire, politicamente i socialisti si smarcherebbero in parte dal loro alleato di governo “Unidas Podemos”, e il richiamo ai fasti della transizione democratica, rafforzerebbe la legittimazione della monarchia, molto scossa dai recenti scandali di corruzione che hanno visto protagonista il re emerito Juan Carlos I.