Sparare a zero sulle armi è facile ma sbagliato
18 Aprile 2007
E’ davvero drammatico che un istituto come il Politecnico della Virginia sia finito al centro delle cronache per la tragedia a cui tutto il mondo ha assistito agghiacciato e non per cause ben più meritevoli. Era giusto, ieri, accompagnare le immagini della strage con il silenzio e, almeno parzialmente, lo si è fatto. L’America ha idealmente fatto sentire il proprio abbraccio alle famiglie delle vittime, anche se, inevitabilmente, si è dato fuoco anche ai fiammiferi della polemica, che, in questi giorni, sarà pesantemente esacerbata. Sul piatto della sfida ci sarà, per l’ennesima volta, il controllo delle armi.
Solo il tempo saprà dirci se gli Stati Uniti prenderanno o meno sul serio, a livello politico, il massacro di Blacksburg. Stando a quanto emerge dalle prime dichiarazioni, pare che anche questa volta assisteremo al più classico buco nell’acqua. Se il Presidente Bush ha ribadito il suo sostegno alla Carta costituzionale ed al Secondo Emendamento, i media “liberal” d’oltreoceano (e, in Italia, il Tg3) hanno puntato il dito contro la presunta facilità con cui si potrebbe ottenere un’arma in America. Vedremo fra poco perchè questa accusa, almeno in questo caso, non è valida. Alle uniche due iniziative in grado di evitare il dramma consumatosi in Virginia è stato riservato invece un trattamento di scarso riguardo.
La prima ipotesi sarebbe quella di vietare la vendita e il possesso di tutte le armi, ma appare decisamente poco compatibile con la storia degli Stati Uniti (e col pensiero occidentale, più in generale) e, in termini di realizzabilità, rappresenta, come ha scritto anche Andrew McClurg (studioso non certo incasellabile fra le fila degli armaioli), un sentiero difficilmente percorribile. Ad esempio, fra i molti problemi che questa scelta comporterebbe, va sottolineato che pochi probabilmente rispetterebbero il divieto: nella sola New York City vi sono fra le 700.000 e i 3 milioni di armi non registrate. A Denver e a Boston, quando la popolazione è stata obbligata a registrare le proprie semi-automatiche, solo l’1% ha rispettato la richiesta. In California, meno del 2% dei 2 milioni di possessori di armi ha registrato la sua, anche se la mancata registrazione rappresenta un reato penale. Concentriamoci allora sulla seconda proposta: armare i professori e i frequentatori del campus. Idea che farà tremare i polsi ai critici delle armi, ma che ha dimostrato, col passare del tempo, la sua efficacia e che ci rivela come Virginia Tech non sia, al contrario di ciò che è stato raccontato nel minestrone mediatico, effetto di una “cultura delle armi”, ma sia figlia illegittima della mancanza di quest’ultima. Non ridete, non è un elogio della follia: uno scrittore prolifico ed intelligente come J. Neil Schulman ha scritto che i problemi della violenza negli Stati Uniti derivano dal fatto che metà della popolazione è disarmata, affermazione che suona come il funerale del senso comune, ma che trova una sua involontaria conferma nella carneficina perpetrata dall’assassino coreano (a tal proposito, anche se i quotidiani hanno già divulgato il suo nome, eviteremo di ripeterlo, per non dare ulteriore fama ad un’impresa di cui non si sentiva il bisogno).
Il fatto che si parli così spesso di “lunga scia di sangue” negli istituti educativi americani dovrebbe far sorgere qualche dubbio nella mente di certi commentatori. Invece, al peggio non c’è mai fine. Le scuole e le università americane sono fra gli obiettivi preferiti degli assassini proprio perchè sono “gun-free zones,” aree in cui non è permesso portare armi. Secondo il Gun Free School Zones (ed anche secondo le leggi della Virginia), è illegale portare un’arma da fuoco in un raggio di 1.000 piedi in presenza di un edificio scolastico, inteso per l’istruzione primaria o superiore. Non è un caso che buona parte degli omicidi di massa, in passato, sia avvenuta presso licei o istituti superiori. Eppure, anche Virginia Tech ha norme che impediscono la detenzione di armi all’interno del campus. Stranamente, la legge non ha fermato la strage. Che cosa avrebbero potuto fare, invece, degli studenti o, ancor meglio, dei professori armati ed allenati a sparare? Nel 1997, in un istituto superiore del Mississippi, Joel Myrick ha fermato un adolescente impazzito semplicemente puntando contro di lui la sua pistola. In Israele, dopo aver concesso il porto d’armi a diversi insegnanti di scuole costantemente bersagliate dal terrorismo palestinese, gli attacchi sono diminuiti nettamente. La bontà di questa scelta è stata ulteriormente confermata nel maggio del 2002, quando un professore israeliano ha sparato ad un kamikaze prima che potesse compiere un omicidio.
Alcuni potrebbero obiettare che, se impedissimo ai folli di ottenere armi, non ci sarebbe bisogno di armare anche i professori. E’ possibile ma, sfortunatamente, nessuna misura (tranne, lo ripetiamo, il divieto di vendere ogni arma) avrebbe potuto fermare la strage. Le leggi della Virginia prevedono un sistema di “shall-issue laws”: se non sono presenti elementi in grado di rendere pericoloso il richiedente di un permesso (come l’abuso di droghe, ordini restrittivi, precedenti penali, disturbi di ordine psicologico), il porto d’armi viene concesso, generalmente nel giro di pochi giorni, dalle autorità locali. La cronaca racconta che il killer coreano ha acquistato le sue armi (una Glock 9 mm e una pistola da 22mm, anche se per ora vi è certezza solo sulla prima arma) presso un rivenditore autorizzato, dunque è stato sottoposto ad un controllo sui precedenti criminali. Tuttavia, come è già stato evidenziato altrove, non sussistevano ragioni per negare il permesso. L’assassino, inoltre, non si è mai sottoposto a trattamenti psichiatrici. Un periodo d’attesa non sarebbe servito a nulla e, in ogni caso, in un paese con 200 milioni di armi da fuoco in circolazione, è piuttosto facile procurarsene una tramite canali illegali. E’ vero, in Virginia non c’è obbligo di dimostrare la capacità di sparare: alzi la mano chi crede davvero che l’introduzione di tale obbligo avrebbe fatto la differenza.
Il controllo delle armi dovrebbe riguardare politiche in grado di tenere le armi lontane dai criminali e garantirle alle persone rispettose della legge. Tuttavia, è molto difficile avere successo in entrambi i campi: molto spesso, leggi restrittive finiscono semplicemente col disarmare la seconda categoria di soggetti, trattandoli alla stregua dei comuni criminali. Ipotizziamo, però, per un istante, che le armi magicamente scompaiano dalla faccia della terra. Ci sarebbero meno spargimenti di sangue? Difficile dirlo. I protagonisti della Columbine avevano piazzato all’interno della scuola delle cariche esplosive, che fortunatamente non hanno provocato danni gravi. Certo, sarebbe più tortuoso compiere stragi senza armi da fuoco a disposizione: le bombe, ad esempio, sono strumenti che richiedono molta più preparazione nel loro assemblaggio e nel loro utilizzo; tutto ciò complica la vita di potenziali killer. Sarebbe però sbagliato affermare che in assenza di pistole e fucili, gli aspiranti assassini farebbero meno danni perchè dovrebbero sviluppare armi più letali. Potrebbero semplicemente dedicare più tempo alla preparazione di queste ultime e produrre maggiori disastri.
A confortare le tesi di chi crede nel diritto a portare armi, ci sono poi le statistiche. Uno dei massimi esperti del tema, John Lott Jr., nel suo libro The Bias Against Guns, ha dedicato un corposo capitolo allo studio dei cosiddetti “multiple victims shootings.” Ciò che emerge dal suo studio è che negli stati che sono traghettati da una struttura di permessi “discrezionali” ad una di leggi “shall-issue”, si è assistito ad un crollo dei feriti e dei morti in sparatorie avvenute in luoghi pubblici, nonchè ad un declino di queste ultime. Le sparatorie sono scese del 67%, i feriti e i morti in questi eventi sono scesi del 78%.
E’ vero, negli Stati Uniti muoiono ogni anno più di 10.000 persone per colpa delle armi (11.250 secondo il Center for Disease Control, dato aggiornato al 2004). Ma gli americani, come ha dimostrato il criminologo Gary Kleck, utilizzano le armi per difendersi, senza sparare un colpo, fra le 650.000 e i 2.5 milioni di volte. Inoltre, dal punto di vista scientifico, non ha alcun senso confrontare il tasso di mortalità legato alle armi da fuoco degli Stati Uniti con quelli di altri paesi: sui dati finali incidono troppe variabili. ( solidarietà sociale, omogeneità etnica e culturale, rispetto dell’autorità, conflitti razziali, senso della famiglia ecc…) Se volessimo davvero sfruttare questi confronti, potremmo allora ricordare che il tasso di criminalità complessivo del Regno Unito è superiore a quello degli Stati Uniti. Ma da questo dato non possiamo trarre alcuna conclusione, perchè non siamo a conoscenza dell’incidenza dei vari fattori sul tasso di criminalità.
Nei prossimi giorni, ad ogni modo, ne sapremo di più sulle responsabilità della polizia (evidenti anche nel caso della Columbine) e dell’università. Sparare a zero sulle armi, però, è decisamente la strada sbagliata.