Spesa sociale e redditi: ma la ricetta-Veltroni dov’è?
26 Febbraio 2008
Il governo uscente a parole si è professato sociale ma nei fatti beceramente tassaro. Nel programma di Veltroni non c’è traccia di un approccio organico alla questione sociale.
I dati empirici diffusi dalla CGIA di Mestre nel corso del 2007 e all’inizio del 2008 e i bollettini Banca d’Italia e ISTAT chiariscono che la “tosatura” fiscale a carico delle famiglie è del tutto sproporzionata e inefficace.
Sotto Visco, abbiamo complessivamente perso colpi sul versante dell’uguaglianza sociale, proprio un bel paradosso per un governo di centrosinistra!
Le carenze sono infatti palpabili tanto (i) sotto il profilo delle disuguaglienze reddituali quanto (ii) sotto il profilo della “spesa sociale”.
Capitolo primo: le disuguaglianze reddituali. Quelle messe in luce da ISTAT e Banca d’Italia sono state raccolte con disappunto e amarezza anche dal sito La Voce.info, il più autorevole serbatoio di intellettuali vicini al centro-sinistra: nei due quinti più bassi della distribuzione dei redditi si trovano soprattutto le famiglie con due o più minori a carico.
Il punto, dunque, è semplice e ineludibile: il governo Prodi non ha saputo ridurre la sperequazione nei patrimoni e nei redditi delle famiglie.
Secondo capitolo: spesa sociale. Qui il messaggio è ancora più semplice: la spesa è del tutto insufficiente. Siamo di fronte, infatti, al desolante rovesciamento dell’immagine dello Stato amico che ci è stata propinata in lungo e in largo. Lo Stato buono, il “mammo” pubblico, marchio di fabbrica della totalità dei governi di centro-sinistra negli ultimi 15 anni, è sbugiardato dall’evidenza dei fatti.
Gli altri Stati europei, compreso quello tedesco (per lunghi anni sinonimo di Stato assistenziale) chiedono meno imposte ai contribuenti, e offrono loro molto di più: l’ennesima conferma che il nostro sistema è da tempo appesantito dal carrozzone pubblico, ed è inefficiente nel servire la collettività.
Tanto per rendere l’idea, nel 2006 la CGIA scatta questa istantanea sulla “spesa sociale” pro capite in Europa:
8.336 euro in Francia
7.903 euro in Germania
7.687 euro in Gran Bretagna
L’Italia? Arriviamo parecchio dopo gli altri, fermandoci a quota 6.269 euro –ben al di sotto della media del nucleo originario della UE (15 Stati Membri). Fin qui, però, nulla di nuovo sotto il sole. Che la “spesa sociale” in Italia sia miserella, già lo si sapeva anche senza la desolante evidenza delle cifre.
A questo punto, piuttosto, sarà il caso di prendere in considerazione la distribuzione della “spesa sociale”.
Chi sono i principali beneficiari dei trasferimenti di denaro? Quali sono le fasce di età maggiormente interessate? E poi, ancora, l’incidenza della spesa pubblica riflette davvero la struttura demografica della nostra società?
Ora come ora, la spesa sociale è concentrata soprattutto sugli individui in età post-scolare, già entrati in fase lavorativa. E che, invece, la spesa sociale sia del tutto inadeguata a sostenere giovani e anziani.
Graficamente, l’economista Carlo Pelanda e l’onorevole Laura Ravetto (commissione Finanze della Camera per Fi nello scorso Governo) hanno rappresentato il fenomeno con una intuitiva curva “a gobba” su un piano cartesiano a due dimensioni: “spesa sociale” (le RISORSE) in ordinata, e fascia di età in ascissa (l’ETA’).
Il modello a “gobba” è uno scenario desolante, per due ragioni di fondamentali.
Da un verso, la “gobba” sancisce l’incapacità di dotare i giovani italiani di una preparazione universitaria all’avanguardia, e al tempo stesso penalizza modelli di formazione alternativa tramite l’esorbitante impennata degli oneri contributivi a carico degli iscritti alla gestione separata (per lo più lavoratori autonomi, tra cui praticanti e collaboratori).
Dall’altro verso, poi, non tiene conto del progressivo ingrigimento delle tempie degli italiani, e rischia di dimenticare per strada sempre più anziani, che il progresso ha assegnato ad un’esistenza più lunga, ma non per questo dotata di comfort anch’essi potenziati.
Da queste colonne, quindi, auspichiamo che la politica abbia l’accortezza di scrutare a fondo le fondamenta della spesa sociale. Per ripensare radicalmente il modello di welfare State e mettere letteralmente “a testa in giù” la curva.