Spiagge, la corte europea dice no alle concessioni a vita. E adesso?
15 Luglio 2016
L’Italia incassa dalla Corte europea di giustizia uno schiaffo sonoro che potrebbe bruciare migliaia di posti di lavoro e milioni di euro investiti. “Le concessioni sulle spiagge italiane vanno messe a gara” scrive nero su bianco il tribunale di Lussemburgo nella sentenza pubblicata oggi con la quale spiega come la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2020 per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi prevista dalla legge italiana “impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati”. Pertanto: le circa 30mila imprese attive sul territorio italiano rischiano di essere considerate “abusive”.
Ora la patata bollente, infatti, è in mano al Governo che dovrà correre ai ripari il prima possibile con due obiettivi: mettere al riparo, rendendo nuovamente “legali” le concessioni attualmente in vigore e fare una riforma organica della materia in modo da armonizzare la legislazione italiana con la direttiva UE. Sul punto il Governo è in netto ritardo.
Sul caso l’attenzione del settore italiano è puntata da mesi: la normativa nazionale prevede una proroga automatica e generalizzata della data di scadenza delle concessioni rilasciate, anche senza previa procedura di selezione, per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi e lacustri (spiagge in particolare). Nonostante tale legge, tuttavia, ad alcuni operatori privati del settore turistico è stata negata la proroga delle concessioni.
Il ministro per gli Affari regionali e la Autonomia, Enrico Costa, ha affermato: “Il governo ha lavorato intensamente in questi mesi per predisporre le basi e i principi di riordino dell’intera materia. Dovranno essere tutelati gli investimenti e valorizzate esperienza e professionalità di coloro che rappresentano le colonne portanti del turismo balneare del nostro Paese. Questi principi, che troveranno attuazione in prossime misure normative, sono del tutto compatibili con i dettami della sentenza della Corte Ue”.
La direttiva servizi (direttiva 2006/123/Ce del 12 dicembre 2006) stabilisce la libertà di stabilimento e i principi di non discriminazione e di tutela della concorrenza. L’articolo 12, in particolare, disciplina il caso in cui, tenuto conto della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato. In questo caso, si prevede che gli Stati possano subordinare un’attività economica a un regime di autorizzazione.
Con la sentenza, la Corte stabilisce anzitutto che tocca ai giudici italiani stabilire se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità di risorse naturali. Nel caso in cui la direttiva sia applicabile, la Corte precisa che il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto ad una procedura di selezione tra i candidati, che deve essere imparziale, trasparente e adeguatamente pubblicizzata.
La Corte precisa, infine, che, nel caso in cui la direttiva non fosse applicabile e qualora una concessione simile presenti un interesse transfrontaliero certo, la proroga automatica della sua assegnazione a un’impresa con sede in uno Stato membro costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese degli altri Paesi Ue e potenzialmente interessate a tali concessioni, disparità di trattamento che è contraria alla libertà di stabilimento.
Uno dei punti più delicati sarà, come sempre quello economico: gli imprenditori hanno smesso di fare investimenti per la manutenzione e miglioramento dei servizi degli stabilimenti balneari.