Sri Lanka,  nessuno sa che succede ai profughi nei campi del governo

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Sri Lanka, nessuno sa che succede ai profughi nei campi del governo

16 Marzo 2009

Un inizio d’anno tragico per la piccola isola di Ceylon. Il 2 gennaio l’esercito è entrato a Kilinochchi, la capitale dello stato de-facto della fazione ribelle Tamil LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam). Da settembre 2008, l’esercito fronteggiava l’LTTE a pochi chilometri dalla città a Nord dello Sri Lanka e dopo mesi di agonia, morti e feriti, l’esercito è entrato in una città completamente vuota e distrutta.

La popolazione, che da mesi si muoveva compatta verso la parte più orientale del Vanni (regione a Nord dell’isola prevalentemente di etnia Tamil), ha continuato a spostarsi e fermarsi seguendo la volontà dei ribelli. Dalla presa di Kilinochchi tutto il paese e i pochi osservatori stranieri, ancora interessati a questo conflitto trentennale, sono rimasti per qualche settimana con il fiato sospeso in attesa di una fine improvvisa degli scontri e della sconfitta del LTTE. L’epilogo di questa vicenda tarda ancora ad arrivare.

Da settembre un numero non ben definito di persone, tra le 200,000 e le 250,000, è sfollato e in continuo movimento. Di queste centinaia di migliaia solo 30,000 sono riuscite a uscire dalla enclave ancora controllata dall’LTTE. A fine settembre 2008, tutte le agenzie umanitarie hanno lasciato l’area sotto il controllo dell’LTTE per ragioni di sicurezza. Migliaia di civili sono rimasti senza aiuti umanitari, tranne i convogli settimanali di cibo delle Nazioni Unite. Dal 16 gennaio scorso, i convogli umanitari sono stati interrotti per problemi di sicurezza. La ICRC (il comitato internazionale della Croce Rossa), l’unica agenzia umanitaria che ha il permesso di rimanere nell’area LTTE con il consenso delle parti, ha dovuto evacuare gli operatori nell’unico ospedale ancora funzionante nella zona sotto assedio, ormai troppo piccola e rischiosa (parliamo di circa 100 chilometri quadrati).

All’inizio di marzo la situazione è ancora in stallo ma la crisi umanitaria che si sta consumando nel Nord del Paese è la più grave di tutta l’Asia. Lo dicono i numeri: 200,000 persone chiuse in una piccola area, prigionieri dell’LTTE che utilizza la popolazione come scudo umano, da una parte, e del governo che ha negato da mesi la possibilità di un corridoio umanitario per evacuare i civili, dall’altra.

Caritas Sri Lanka, come organizzazione cattolica locale, è riuscita a rimanere attiva nel soccorso umanitario con le 63 persone che vi lavorano. L’ufficio della Caritas locale del Vanni, precedentemente situato a Kilinochchi, è stato spostato due volte nel corso degli ultimi mesi. Udayarkaddu è il nome dell’ultimo villaggio in cui Caritas Vanni aveva costruito un ufficio temporaneo, che tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio è stato bombardato, provocando numerosissimi danni tra le attrezzature e un ferito. Caritas Vanni è riuscita ad operare fino all’inizio di gennaio, costruendo rifugi temporanei per la popolazione, distribuendo cibo e vestiti e costruendo pozzi e latrine d’emergenza.

Tutto il personale è ora con la maggioranza degli altri civili in una zona costiera a Nord di Mullaitivu (ultima roccaforte dell’LTTE conquistata nella seconda metà di gennaio) che è stata dichiarata zona salva. L’area di poche decine di chilometri quadrati non è sufficiente per contenere i profughi. Le scorte d’acqua non sono abbastanza e il cibo nemmeno, le temperature sono molto alte in questa stagione e nessuno ha un riparo. La tragedia che si sta compiendo è senza precedenti nel Paese e sono già scoppiati dei piccoli focolai epidemici di dissenteria e d’influenza. Le morti si susseguono per le condizioni difficilissime e per i continui bombardamenti.

L’LTTE, costretto in questo fazzoletto di terra, continua a combattere e impedisce ai civile di lasciare la zona. Gli stessi civili non sembrano così disposti a lasciare la propria terra per dirigersi nei campi allestiti dal Governo. Il Governo dello Sri Lanka ha predisposto 13 campi profughi già funzionanti nel distretto a Sud del Vanni, Vavuniya. I rifugiati, una volta usciti dal Vanni, passano un periodo di 7-10 giorni in due campi ad altissima sicurezza (screening center) completamente militarizzati e senza accesso per gli osservatori umanitari. In questi campi i civili vengono sottoposti a controlli, non meglio definiti, per scongiurare il pericolo che qualche Tigre Tamil riesca a infiltrarsi tra la popolazione civile.

Non si conosce esattamente il numero di persone che arrivano nei campi profughi. Le condizioni delle 30,000 persone nei 13 campi predisposti dal governo sono a dir poco drammatiche. Queste strutture di emergenza sono state predisposte nel giro di qualche settimana, senza fare affidamento su nessuno standard umanitario. Tutte le agenzie umanitarie stanno cercando di far fronte alla crisi per dialogare con il governo in termini di libertà di movimento per i rifugiati e smilitarizzazione dei campi a Vavuniya.

Le trattative fanno parte di una strategia più ampia per il futuro, per tutelare migliaia di persone che non avranno più una casa dove tornare. Nonostante il dispiegamento delle forze militari governative, i ribelli dell’LTTE resistono ostinatamente ad ogni attacco e, sorprendentemente, sono riusciti a far decollare due aerei dal Vanni il 20 febbraio scorso. I velivoli hanno attaccato Colombo, la capitale. Questo atto di sfida mostra che i Tamil sono ancora liberi di agire e combattere. Questo ci riporta alla soluzione del conflitto.

Il Governo dello Sri Lanka ha davanti a sé non solo i problemi legati ai profughi e al loro reinserimento, ma dovrà iniziare a pensare come risolvere la questione politica legata ai diritti dei Tamil nell’isola: finché non ci sarà una parità di diritti tra le diverse etnie e religioni potrà sempre esserci un LTTE pronto ad attaccare e ad attrarre seguaci.