Stabilità e riforme la carta vincente di Erdogan

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Stabilità e riforme la carta vincente di Erdogan

Stabilità e riforme la carta vincente di Erdogan

23 Luglio 2007

Occorre interrogarsi sul
consistente aumento di consensi dell’Akp nelle elezioni turche di ieri.  Si può ipotizzare che esso sia dovuto ad una
serie di fattori che hanno relativamente poco a che fare con l’elemento religioso.
Si può ricordare che la stabilità del governo monocolore uscente di Erdogan ha
permesso una serie di riforme economiche che hanno incoraggiato la crescita
industriale, ridotto l’inflazione e normalizzato il cambio monetario, a tutto
vantaggio sia delle classi medie urbane che dei ceti popolari delle campagne.
Né va sottovalutato il credito che il premier ha conquistato presso gli
elettori moderati con l’impegno per l’ingresso nell’Unione Europea, e le relative
riforme amministrative e giudiziarie per avvicinare il paese agli standard comunitari.
Bisogna inoltre considerare che gli anni ’90 erano stati caratterizzati
dall’instabilità di governo dovuta all’incapacità dei laici di destra e di
sinistra di governare insieme, e che per la Turchia di oggi la stabilità è un bene molto
prezioso. Infine, Erdogan ha impostato tutta la campagna elettorale
sull’obiettivo di tranquillizzare l’opinione pubblica rispetto al rischio di
una deriva islamica del paese: anche in seguito alla presa di posizione delle Forze
Armate e alle imponenti manifestazioni della piazza laica tra aprile e maggio,
come notato dal Financial Times del 3 luglio, “l’Akp ha escluso dalle
candidature elettorali circa 150 tra i suoi rappresentanti più reazionari,
sostituendoli con personaggi nuovi, giovani e dall’estrazione borghese”. Un
rinnovamento dunque generazionale e di immagine, che ha permesso al partito di
Erdogan di sfondare anche nelle roccaforti laiche.

Il prossimo governo
monocolore dell’Akp dovrà affrontare due nodi cruciali per la Turchia e per i suoi
rapporti con l’establishment militare kemalista. Da un lato, la ripresa degli
attacchi terroristici dei curdi che possono contare sull’appoggio logistico nel
Kurdistan irakeno: le forze armate turche hanno già ammassato le truppe e
preparato i piani del raid oltre confine in attesa del nulla osta politico, ma
un’azione del genere rischia di rompere i rapporti con lo storico alleato
americano e di gettare l’Iraq nel caos. Dall’altro, l’elezione del presidente
della Repubblica, miccia che a primavera ha acceso gli scontri tra laici e
post-islamisti dopo quattro anni di convivenza tutto sommato pacifica e
costruttiva. La carica, vertice dell’apparato militare e giudiziario, è
tradizionalmente considerata appannaggio del fronte kemalista. Il tentativo di
Erdogan di insediarvi il suo ministro degli Esteri Abdullah Gul per via
parlamentare è fallito sotto la pressione della piazza e dei militari, ma l’Akp
non si è arreso ed ha approvato una riforma costituzionale che prevede
l’elezione popolare del presidente della repubblica.

La Turchia non è un paese islamico come tutti gli altri, ed il
suo stare a cavallo del limes tra
Europa ed Islam impedisce di utilizzare nei suoi confronti gli schemi interpretativi
validi per le democrazie occidentali o per gli stati arabi. Volendo azzardare
un paragone, si può sperare che l’Akp svolga lo stesso ruolo che ha avuto il
Partito Popolare e la Democrazia Cristiana
in Italia nella prima metà del ‘900: integrare le masse religiose in una
democrazia nazionale costruita da un elitè laica senza la loro partecipazione o
addirittura contro i loro stessi voleri. L’evoluzione in senso moderato e
democratico del principale partito turco, che affonda le sue radici nella
tradizione islamista, è un processo da incoraggiare e che è già in corso.

La capacità di raggiungere un
compromesso con i kemalisti sarà il banco di prova per l’Akp di Erdogan, ma
anche per i laici e i militari. E’ stata la loro continua opera di vigilanza e
difesa della laicità turca, tanto con i golpe soft degli anni ’70-’80 quanto
con l’opposizione di piazza dei mesi scorsi, a scongiurare derive
fondamentaliste e a spingere i partiti islamisti ad accettare le regole
democratiche e i principi kemalisti del modello turco. Ma nella realtà di oggi il
fronte laico non può pensare di mettere fuori legge, come fatto in passato, un
partito d’ispirazione religiosa che raccoglie il 47% dei voti, né può escludere
che uno stato laico e moderno possa permettersi una rappresentanza pubblica del
comune sentire religioso.

Se in un futuro non troppo lontano
l’Akp diverrà per i turchi quello che è la Cdu per i tedeschi a guadagnarci non sarà solo la Turchia, ma anche l’Europa
e soprattutto quell’Islam che non vuole consegnarsi al fondamentalismo.