Stanislaw Lem, il testimone degli spasmi del secolo breve
21 Dicembre 2008
Polacco di origini ebraiche, nato a Leopoli quando la città era ancora la polacca Lwów (per poi diventare la sovietica Lvov e l’attuale Lviv in Ucraina), Stansilaw Lem visse la sua infanzia nella Polonia indipendente, prima di assistere all’invasione nazista, al regime comunista, alla svolta democratica e all’ingresso del suo paese nell’Unione europea. Una vita lunghissima (1921-2006) trascorsa perlopiù a Cracovia e immersa in un crocevia turbolento che ha vissuto tutti gli spasmi del secolo breve. Dopo le traversie belliche e una laurea in medicina, Lem è diventato celebre per i suoi libri di fantascienza ed è uno di quegli autori in cui la scrittura di genere si fa letteratura.
Per non destare troppo sospetto presso gli occhiuti censori di regime, Lem tentò l’ossequio formale al dogma sovietista e fece prendere per buona la teoria secondo cui “la letteratura di fantascienza è in fondo un ramo particolare del realismo che si va formando. Sebbene non sia realismo nel senso stretto del termine, tuttavia senza l’intenzione degli scrittori fornisce uno specchio della propria epoca ed esprime contenuti molto reali”.
Reso ancora più noto dalla trasposizione cinematografica del suo “Solaris” girata da Andrei Tarkovski (rinverdita nel remake di Steven Soderbergh), Lem seppe anche uscire dal recinto della fantascienza. Negli ultimi anni Bollati Boringhieri, con meritorio sforzo, ha cercato di togliere la polvere da alcune delle opere “altre” dello scrittore polacco, traducendo “L’ospedale dei dannati” (pagine 204, euro 18, trad. Vera Verdiani), “L’indagine del tenente Gregory” (pagine 174, euro 18, trad. Vera Verdiani) e da ultimo, qualche mese fa, “Il castello alto” (pagine 140, euro 15, trad. Laura Rescio). Ma, nonostante fossero degni di maggiori attenzioni, i tre volumi sono rimasti confinati in una sorta di semiclandestinità.
Romanzi molto diversi tra loro, uscirono in patria accompagnati da qualche sospetto. Specie “L’ospedale dei dannati”. Dopo averlo letto, alcuni critici consigliarono allo scrittore di dedicarsi con nuova lena ai suoi più prudenti excursus interstellari. Troppo intenso e spaventoso infatti, almeno per la pruderie comunista, il racconto di guerra e follia contenuto ne “L’ospedale”, scritto nel 1948 ma pubblicato soltanto a destalinizzazione avvenuta.
Il giovane medico Stefan, che lavora in un ospedale psichiatrico, si deve misurare con due diversi orrori. La clinica oppressiva in cui vengono concentrati i malati di mente da un lato e, dall’altro, l’avanzare del nazismo e della sua violenza. Un campionario di atrocità che inclina con decisione verso l’“homo homini lupus” e comunque verso una visione del mondo ben più complessa e piena di nuances rispetto ai bianchi e neri previsti dalla propaganda. La grande storia preme fuori dalle mura dell’ospedale psichiatrico in cui la differenza tra medici e torturatori è spesso sfuggente. Poi, alla ricerca di ebrei, i protagonisti dei massacri circonvicini penetrano anche all’interno della clinica.
Accanto a questo tramortente, potentissimo romanzo in cui allucinazione e lucidità finiscono per sovrapporsi fino a coincidere, “L’indagine del tenente Gregory” è invece un giallo raffinato in una Londra ovattata dal buio e dalla foschia. Inspiegabili sparizioni di cadaveri innescano un meccanismo in cui ipotesi irrazionalistiche devono misurarsi con le asciuttezze della scienza, in un minuetto che cede a pensieri filosofici. “Il castello alto” ricostruisce con grazia color seppiato l’infanzia a Leopoli di Lem. E ci si accoccola nello sguardo di un bambino stravagante dedito ad attività segretissime, come la compilazione compulsiva di moduli bollati, lasciapassare, autorizzazioni firmate e controfirmate che fanno parte di un autoprodotto mondo burocratico, in un cortocircuito tra la sfrenata fantasia infantile e la creazione “di un intricato dramma impiegatizio”.
Lem, già acclamato e tradottissimo come guru della scrittura di fantascienza, dà dunque tre prove d’autore solide anche nel romanzo classico, nel giallo e nell’autobiografia. Ora sono accessibili nella nostra lingua e aggiungono molte ottave a una delle già più apprezzate voci della letteratura polacca.