Stati-canaglia: adesso tocca alla Corea del Nord
09 Aprile 2017
Teniamo a mente questa data, 15 aprile. Il giorno in cui nella Corea del Nord si festeggia la nascita del fondatore Kim Il-sung. Quel giorno, o a ridosso delle celebrazioni, l’attuale despota paracomunista di Pyongyang, Kim Jong-un, potrebbe essere tentato dall’ordinare il sesto test da quando la Corea del Nord ha iniziato il suo programma nucleare a uso bellico, oppure di lanciare un missile intercontinentale. Ma lo “strike”, la tempesta di missili Tomhakw scatenata dal presidente americano Donald Trump sulla Siria cambia le carte in tavola. Tanto più che Trump ha informato a cose fatte l’illustre ospite, il presidente della Cina, che nelle stesse ore visitava gli Usa dopo le frizioni tra Washington e Pechino avvenute durante e dopo le elezioni Usa del 2016. Da qui i timori che si respirano nella stampa cinese, che da una parte saluta favorevolmente l’incontro avvenuto nella residenza estiva di Trump, dall’altra scrive che un nuovo attacco a sorpresa, questa volta contro Pyongyang, avrebbe conseguenze imprevedibili nelle relazioni sino-americane.
Fatto sta che il gruppo di attacco Usa “Carl Vinson”, con la omonima portaerei classe Nimitz, la sua flottiglia aerea e i cacciatorpedinieri Aegis che l’accompagnano, hanno cambiato rotta e adesso dirigono verso la penisola coreana, un messaggio chiaro su quale sarebbe la conseguenza di un nuovo colpo di testa per Kim Jong-un. I tempi dell’incertezza di Obama sono finiti e, con grande sorpresa di chi credeva davvero alla favoletta dell’America rinchiusa su se stessa, adesso un altro stato-canaglia deve iniziare seriamente a preoccuparsi.
Che quella parte dell’amministrazione Trump vicina al Pentagono, la “lobby” del complesso militare-industriale, come la chiamano, negli ultimi tempi abbia preso il sopravvento sulla destra isolazionista, dando una immagine inaspettata e diversa alla presidenza Trump, lo dimostrano le parole dei militari, “Il comando americano nel Pacifico ha ordinato al gruppo aeronavale dispiegato attorno alla portaerei Carl Vinson di restare a disposizione e presente nella parte occidentale dell’oceano Pacifico, una misura di precauzione” dice il il comandante Dave Benham del gruppo Vinson, “la minaccia numero uno nella regione resta la Corea del Nord, a causa del suo programma missilistico irresponsabile, destabilizzante e imprudente e della sua ricerca di armi nucleari”.
Diverse le ipotesi sul tavolo del presidente Trump: dotare Seul, la Corea del Sud, di armi nucleari americane per la deterrenza anti- Pyongyang, come non accadeva da anni. Eliminare, fisicamente, Kim Jong-un. Operazioni coperte Usa d’intesa con le forze speciali sudcoreane al di là della linea di confine, per distruggere ponti o infrastrutture e impedire a Pyongyang di sviluppare il suo programma missilistico. Una telefonata di quasi un’ora tra il primo ministro giapponese Shinzo Abe e Trump conferma che, se l’escalation contro il regime nordcoreano dovesse scattare, gli alleati americani nell’area sono pronti a fare la loro parte. In attesa di capire se a Pechino, come a Mosca, qualcuno coglierà questi messaggi prima dell’irreparabile, costringendo i propri scomodi alleati a un cambio di rotta, si chiamino Kim Jong-un o Bashar Assad.