Giuseppe Conte, amante del calcio, vuole provare il dribbling, senza aver ancora imparato a colpire di piatto. La sintesi è questa. Il dribbling sono gli Stati generali. Il tocco di piatto è favorire un naturale processo di dialettica politica. Un allenatore direbbe di fare le “cose semplici”. Quelle che a Giuseppi non sembrano proprio riuscire. Non è il primo e non sarà l’ultimo protagonista ad avere questo difetto.
Può non essere colpa sua? A pensar bene sì. Di solito si passa dai primi calci ai pulcini. Per questo ci permettiamo di annotare che il cursus honorum politico non può essere sempre messo in secondo piano. Per questo, utilizzando un’espressione di Guido Sapelli, ci permettiamo pure di affermare che un governo non può essere composto in larga maggioranza da “eterni disoccupati”. Bisogna fare i primi calci, i pulcini, la juniores, i giovanissimi e così via. Vale per il calcio, dovrebbe valere per la politica, che è rimasto l’unico ambito in cui tutti possono ambire a tutto. A pensar male, invece, si può lasciar spazio ad un’altra ricostruzione. Comunque la si metta, la conclusione è sempre pessima.
Intanto in questo caso in gioco c’è il futuro dell’Italia. E allora strilliamo come farebbe un tecnico da bordo-panchina: “Giocare a due tocchi!”. Perché i tacchi andrebbero riservati per le occasioni in cui una squadra è in largo vantaggio. Questa non è una partita facile. Qui rischiamo di prendere un’imbarcata, ma la leziosità di Giuseppi non sembra disposta ad aprire le orecchie. E a rimetterci, se l’andazzo dovesse continuare ad essere quello odierno, saremmo tutti noi. Facciamo un passo indietro. Giuseppe Conte è il premier che ha gestito la pandemia a colpi di Dpcm. Per far convocare il Parlamento, c’è voluta una campagna ad hoc. E ancora oggi notiamo un atteggiamento di fondo che punta a coinvolgere il meno possibile tanto le forze politiche parlamentari quanto le parti sociali.
Ma Giuseppi – lo abbiamo imparato – è un esteta. O meglio la comunicazione sedimentata dietro le quinte pretende che lo sia. Questo giallorosso è il governo del primato della comunicazione. Un luogo di potere dove le inquadrature tendono a contare più della sostanza. Un posto fisico per cui tagliarsi i capelli da solo può assumere un valore narrativo, mentre il fatto che la cassa integrazione, a distanza di mesi, non sia ancora arrivata a tutto gli aventi diritto deve essere seppellito in cronaca locale. Come si fa quando una notizia che non si può non dare cozza con gli interessi editoriali.
Il termine più indicato è “vacuità”. Quella che contraddistingue chi, invece di far sì che il Parlamento si trasformi in una fucina continua di propositi per l’avvenire, convoca alcuni selezionati attori presso Villa Pamphili. La spiegazione potrebbe essere ricercata in un eventuale spiccato senso del narcisismo, ma crediamo che la questione sia molto meno psicologica e molto più procedurale: gli Stati generali, come molto di quello che è accaduto in questi mesi, fanno parte di uno schema comunicativo che punta a fare di Conte una sorta di statista irrinunciabile. La pretesa di chi vuole dribblare e non sa giocare a due tocchi di giocare titolare in eterno: la metafora calcistica viene in aiuto anche in questa circostanza.
Basterebbe ammettere di dover fare un passaggio intermedio prima di ergersi a mito della Repubblica: il Parlamento – diremmo noi – va usato per quel che è stato pensato, e non deve trasformarsi in un inginocchiatoio contro il presunto razzismo sistemico che, se esiste, certo non può non passare pure dall’attività legislativa dei parlamentari. E invece no; Conte, ancora una volta, preferisce lo spettacolo alla concretezza. Questi saranno gli Stati generali e nulla più.
L’allenatore in panchina si sbraccia e chiede che l’uomo per cui – ahinoi – la proprietà ha investito così tanto si comporti finalmente da leader. In questo gioco, purtroppo, è necessaria una larga convergenza d’interessi per operare un cambio. Servirebbe uno che – come Daniele De Rossi all’ultimo Mondiale che abbiamo giocato – capisse che serve altro, in quel caso Insigne, per poter almeno tentare di raggiungere l’obiettivo, che è la salvezza del sistema economico-sociale. De Rossi si rifiutò di entrare. Giuseppi dovrebbe uscire da solo dal campo, ma non lo farà, costringendoci tutti alla perdita di tempo degli Stati generali.