Stati Uniti e Russia: un bilancio del “reset” americano
15 Gennaio 2011
Due eventi verificatisi alla fine di dicembre, diversi ma in fin dei conti correlati, ovvero la ratifica del nuovo trattato START ad opera del Senato americano e la condanna dell’ex oligarca russo Mikhail Khodorkhovsky, riflettono i punti di forza e di debolezza nonché le contraddizioni del cosiddetto “reset” tra Washington e Mosca nel 2010.
Da un lato, l’approvazione del trattato START ha contribuito a certificare il miglioramento dei rapporti bilaterali basato sulla cooperazioni e su interessi condivisi. Dall’altro, la politica interna in entrambi i paesi ha avuto una funzione determinante nell’approvazione del trattato: la ratifica del Senato è stata assicurata soltanto da dall’appoggio incrociato di un piccolo gruppo di senatori repubblicani che ha accantonato la diffidenza tipica del loro partito nei confronti delle intenzioni della Russia all’estero e del suo crescente autoritarismo interno. Se la decisione su Khodorkhovsky non fosse stata rimandata a dopo il voto del Senato sul trattato (e infatti secondo alcuni scettici il rischio di alienarsi i senatori indecisi è stata la ragione del ritardo nell’emettere la sentenza), questo avrebbe seriamente rischiato di essere respinto. In breve, considerazioni di natura interna sono centrali per il “reset” nei rapporti fra Stati Uniti e Russia ed è probabile che faranno in modo che i vantaggi di tale “reset” rimarranno limitati e fragili.
I vantaggi ottenuti dal miglioramento dei rapporti sono stati considerevoli, benché in alcune aree non siano così significativi come sostiene l’amministrazione Obama. Parliamo del consenso russo a una nuova serie di sanzioni nei confronti dell’Iran e la cancellazione del controverso accordo da parte di Mosca per la fornitura a Teheran del sistema missilistico S-300, il rilancio del Consiglio NATO-Russia e l’appoggio di Mosca al Northern Distribution Network che consente il transito sul territorio russo dei rifornimenti per le forze NATO in Afghanistan.
Alla base dell’approccio statunitense, come ha detto recentemente il consigliere del presidente, Michael McFaul, al pubblico del Carnegie Endowment, c’è una “teoria” del “reset”, stando alla quale Stati Uniti e Russia hanno alcuni interessi in comune. la ricerca di buoni rapporti può portare benefici a entrambe le parti e l’interazione deve avvenire su una rosa molto ampia di questioni.
In pratica, gli Stati Uniti considerano la Russia meno per quello che è, o che potrebbe essere, e più come uno strumento per coadiuvare Washington ad affrontare altre priorità come la non-proliferazione nucleare e il terrorismo radicale islamico.
Mosca ricerca la modernizzazione economica – una risposta ai danni provocati dalla crisi economica globale – per affermare se stessa come grande potenza in un mondo multipolare. Vuole anche relazioni amichevoli con i propri vicini nello spazio ex-sovietico e, soprattutto, persegue la conservazione del regime. L’influenza globale degli Stati Uniti è in declino e l’amministrazione Obama è relativamente debole, sono convinti i leader russi. Per il momento, dunque, Mosca ritiene di poter beneficiare di un rapporto più collaborativo con gli Stati Uniti, ma insiste sul fatto che questo debba essere alle proprie condizioni: e cioè che non vi sia un’ulteriore espansione della NATO o una massiccia influenza occidentale nel “near abroad”. Soprattutto, il Cremlino non tollererà un’autentica democratizzazione del regime.
L’amministrazione Obama ha sostenuto che, nella ricerca di una maggiore cooperazione, la promozione della democrazia e diritti umani è presa ancora seriamente e che tutti questi argomenti sono centrali nella discussione tra Washington e Mosca. Inoltre, gli Stati Uniti hanno continuato a dare il proprio appoggio a figure dell’opposizione e allo sviluppo della società civile. Ci sono comunque buone ragioni per credere che i leader russi non stiano prendendo tutto questo troppo seriamente. L’amministrazione Obama ha esplicitamente ripudiato un legame che punirebbe un cattivo comportamento della Russia in un settore negando concessioni in un altro. Negli ultimi tempi, i leader russi hanno intensificato la repressione confidando, a quanto sembra, nel fatto che con ogni probabilità Washington non voglia rischiare i vantaggi ottenuti dal “reset” nello scorso anno.
Sia gli Stati Uniti che la Russia hanno bisogno di dialogo sulle questioni di sicurezza ed è verosimile che questo processo vada avanti. Ma probabilmente i prossimi sviluppi di politica interna in entrambi i paesi metteranno presto a nudo i limiti della recente distensione. Per prima cosa, è presumibile che i repubblicani di fresca maggioranza al Congresso americano solleveranno preoccupazioni sull’operato del Cremlino riguardo ai diritti umani e che saranno riluttanti ad approvare nuove iniziative di controllo sulle armi. In secondo luogo, un qualunque rimescolamento nel tandem alla guida del Cremlino potrebbe riportare indietro le relazioni; la corte spietata fatta dall’amministrazione Obama a Medvedev ha danneggiato il presidente russo in alcuni ambienti e la sua tenuta alla guida del paese oltre il 2012 è tutt’altro che scontata. Infine, l’elezione di un presidente repubblicano nel 2012 potrebbe probabilmente rallentare lo slancio. “Per quanto riguarda la Russia – scrissero diversi leader dell’Europa Centrale e dell’Est al presidente Obama nel 2009 –, secondo la nostra esperienza una politica più determinata e ferma nei principi nei confronti di Mosca rafforzerebbe non solo la sicurezza dell’Occidente, ma in definitiva indurrebbe Mosca ad adottare una politica più collaborativa”.
© Voice of America – Russian Service
Traduzione di Andrea Di Nino
Donald N. Jensen è Senior Fellow al Center for Transatlantic Relations (CTR) della SAIS-Johns Hopkins University. Dal 2002 al 2008, è stato Direttore per la Ricerca di Radio Free Europe/Radio Liberty a Washington, DC, dove è stato responsabile delle attività di analisi riguardanti oltre venti paesi dell’Europa centro-orientale, l’ex Unione Sovietica, il Medio Oriente e l’Asia meridionale. Scrive diffusamente sugli sviluppi politici, economici e nell’ambito della sicurezza in Russia ed Ucraina e partecipa regolarmente come commentatore per i principali media statunitensi e internazionali.