Stefan George. La sua opera è l’inizio di una “nuova storia tedesca”
11 Luglio 2010
di Vito Punzi
Nell’azzardo di disegnare la storia di un poeta carismatico e della sua cerchia dalla prospettiva dell’effetto provocato dalla sua opera non si era cimentato ancora nessuno in maniera così cosciente. E va detto subito che l’opera di Ulrich Raulff (Kreis ohne Meister. Stefan Georges Nachleben, Verlag C. H. Beck, München 2009, pp. 544, € 22,90), il direttore del Deutsches Literaturarchiv di Marbach am Neckar, il più grande archivio letterario che raccoglie i lasciti di un gran numero di scrittori e letterati tedeschi del XIX e XX secolo, è pienamente riuscita: il libro, insieme erudito e di facile lettura, descrive con efficacia un pezzo fondamentale di storia culturale tedesca. Non è un caso, dunque, che risulti da mesi uno dei saggi più venduti in Germania.
"Come poeta", scrive Raulff introducendo il lavoro, "Stefan George ha lasciato al mondo una serie di opere d’arte significative. Altri potrebbero sostenere che le sue poesie di bellezza davvero immortale non sono più di una dozzina, forse solo un paio". Nulla di strano. È il gioco delle interpretazioni. In realtà, continua Raulff, due sue opere sono dotate di un "peso particolare" e di una "originalità indiscutibile": il cosiddetto "Kreis", la cerchia dei suoi adepti, e il disfacimento e la decomposizione di quella stessa cerchia, "forse la sue opera d’arte più riuscita", sottolinea lo studioso, "che si compì in assenza del suo artefice e contro le sue intenzioni".
Il punto di partenza scelto da Raulff è un’annotazione di Robert Boehringer: "Lentamente il respiro divenne più debole", scrisse nella piccola Minuzio, in Svizzera, "e lunedì, il 4 dicembre 1933, il cuore smise di battere". Dopo la morte di George non siamo di fronte alla progressiva maledizione che solitamente coglie gli epigoni alla scomparsa del loro Maestro, piuttosto inizia una storia di scontri d’interpretazione che raggiungerà perfino i livelli più alti della politica. Basti ricordare che accanto al letto di morte del poeta c’era anche Klaus Schenk von Stauffenberg, il protagonista di uno dei tanti falliti attentati a Hitler e della cosiddetta "Operazione Valchiria", insieme ai fratelli Bertold e Alexander. Casualmente Otto Ernst Remer, il maggiore alle dipendenze del Ministero per la Propaganda che nel pomeriggio del 20 luglio 1944 riuscì a mettersi in contatto con Goebbels, era un grande estimatore di Rilke, e questo fatto portò Carl Schmitt a scolpire una frase lapidaria: "Il 20 luglio è stata la vittoria di Rilke su George". Insomma la poesia di George assomiglia molto ad un castello nel quale si sono incrociati i destini di grandi uomini. Destini che Raulff ricostruisce con ricchezza di dettagli e curiosità, senza cadere tuttavia nell’aneddotica.
La novità del suo lavoro risiede in particolare nella ricerca del sottobosco istituzionale di quella politica educativa che ancora negli anni ’60 era profondamente radicata nel sistema educativo, per esempio nel collegio Birklehof, nella Foresta Nera. Ma la storia della ricezione della poesia di George non la si deve intendere per nulla chiusa entro i confini della sola Germania. Si pensi a Ernst Kantorowicz ed a Erich e Fine von Kahler nel loro esilio americano, ma anche a Wolfgang Frommel e alla rivista "Castrum Peregrini", ad Amsterdam. Tra i meriti di Raulff c’è anche quello di aver preso in considerazione dissidenti e discepoli infedeli, come il poeta, polemista e saggista Rudolf Borchardt. Ed anche questo dimostra la libertà e il distacco con i quali lo studioso si è applicato al tema: fosse stato un adepto, dal suo lavoro probabilmente non sarebbe uscito altro che un indecente frutto dolciastro. Così, se da una parte la concettualità esoterica del circolo creatosi attorno alla poesia di George viene trattata da Raulff con una certa empatia, dall’altra l’impiego di una discreta dose di ironia permette allo studioso uno sguardo sufficientemente distaccato.
Ciò che colpisce è che quanto più il libro avanza cronologicamente, giungendo fino agli anni ’50 e ’60, tanto più la resa che produce risulta ricca e sorprendente. Più che affermarsi un lento sfiorire e scolorare, come la logica del tempo vorrebbe, prendono vita e vigore sempre nuovi temi e motivi, la cui origine, appunto, non può che essere ricondotta all’opera e al carisma di George. Si scopre così che tra i cultori del vate va annoverato anche il diplomatico Ernst von Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso il Vaticano negli anni 1943-1945 e padre di quel Richard che nel decennio 1984-1994 sarebbe diventato presidente della repubblica federale. Non a caso, nel 1933, poco dopo la morte di George, fu lo stesso von Weizäcker padre a deporre una corona sulla tomba del poeta, a Berna, a nome del governo del Reich.
In maniera altrettanto poco casuale, terminata la guerra, a difendere il diplomatico dalle accuse di aver operato contro la pace e contro l’umanità (per le quali sarà condannato a sette anni di prigione) ci sarà anche Hellmut Becker, figlio di quel Carl Heinrich Becker orientalista e storico dell’islam classico che era stato anche ministro prussiano per la Cultura ed amico di George. Lo stesso Edgar Salin, il primo memorialista del poeta, era nipote di Jacob Schiff, che non è stato un semplice banchiere americano pari a tanti altri, piuttosto uno dei più significativi strateghi della finanza mondiale del suo tempo: sua figlia Frieda avrebbe sposato il fratello di Felix Warburg, fratello del grande collezionista d’arte, Aby, e primo capo della "Federal riserve".
Insomma, ricostruendo intrecci d’interesse e parentali, il libro di Raulff rende evidente come George non soffrisse di mania autocelebrativa quando concepiva la propria opera come il luogo "delfico" nel quale si sarebbero incontrate tutte le linee di sviluppo della storia tedesca.