Stefano Gugliotta è uscito dal carcere ma ancora troppo resta da chiarire
13 Maggio 2010
Stefano Gugliotta. Un nome anonimo per una storia che, pian piano, è uscita dall’anonimato per affacciarsi sempre più prepotentemente alle cronache. Forse uno scambio di persone alla fine di Inter-Roma – finale di coppa Italia – ha portato, mercoledì scorso, all’arresto fuori dallo Stadio Olimpico di Roma del 25enne romano per cui il gip di Roma, Aldo Morgigni, ha disposto la scarcerazione ieri pomeriggio. Gugliotta, secondo quanto si può vedere in un video, era stato aggredito da un agente mentre si trovava a bordo del suo motorino e arrestato, insieme ad altre 7 persone, pochi minuti dopo. I poliziotti stavano cercando un giovane con un giacchetto rosso, proprio lo stesso colore di quello indossato da Gugliotta.
Alla base della decisione di scarcerazione c’è stata la mancanza delle esigenze cautelari, anche se resta in piedi l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale per aver reagito (fatto smentito oggi in conferenza stampa) all’offensiva del poliziotto che lo ha colpito. Nel frattempo è stato pure iscritto nel registro degli indagati l’agente, si tratta di un poliziotto del Reparto Mobile in servizio da circa 15 anni, considerato dai colleghi “una persona tranquilla”. Al momento né lui né gli altri tre agenti dello stesso reparto (le cui posizioni sono al vaglio degli inquirenti) ascoltati 2 giorni fa in Procura, sarebbero stati sospesi dal servizio.
"Non ho reagito, ho solo cercato di tenere le distanze. Dopo non ho ricordi chiari perchè sono stato incosciente. Non mi sono dimenato, ho solo detto che non c’entravo nulla. Barcollavo. Non ho neanche cercato di scappare dalla camionetta: non ricordo di aver scalciato nessuno nè di aver provato la fuga dal cellulare" ha detto Stefano nel corso della conferenza stampa di oggi. "Avevo una macchina – spiega – delle forze dell’ordine davanti e una dietro, io avrei voluto solo spiegare le mie ragioni. Mi si sono avvicinati forse perchè non portavo il casco. Con la partita non c’entro nulla. La botta più forte l’ho ricevuto prima di entrare nella camionetta: un colpo con un manganello infertomi alla testa"."Un alto funzionario della polizia ha presentato le scuse alla madre su quanto avvenuto a Stefano. Le ha presentate a nome del Questore di Roma e del commissariato Prati" ha annunciato oggi l’avvocato Cesare Piraino, legale di Stefan . "Per la famiglia questo rappresenta un gesto importante, un segnale positivo da parte delle nostre istituzioni ha proseguito".
La motivazione per cui si trovasse lì in quel momento poco importa. Se facesse parte degli “scalmanati che si sono dispersi verso viale del Pinturicchio dopo gli scontri con le forze dell’ordine in piazza Mancini”, come riportato da alcuni agenti o se si fosse recato al bar e trovandolo chiuso stesse tornando verso casa è del tutto ininfluente. Le cose da sottolineare sono altre.
Sarebbe troppo facile chiedersi, retoricamente, se le forze dell’ordine abbiano svolto al meglio il compito che gli era stato assegnato. E ancora più facile sarebbe prendersela con un ragazzo che visti i tafferugli è saltato sul motorino senza casco (con lui un amico, anch’esso senza copricapo) tentando di scappare, come se stesse realmente fuggendo dagli agenti. Molto più interessante è analizzare tutto quello che gira intorno alla vicenda.
La politica ne ha fatto una battaglia ideologica. Dichiarazioni, appelli, richieste di giustizia e legalità si sono sprecate, così come la visibilità mediatica di chi tali dichiarazioni le ha rilasciate. Si è arrivati (giustamente) ad un question time parlamentare in cui il ministro per i rapporti con il parlamento, Elio Vito, ha dichiarato: “Qualora venissero accertate al termine dell’indagine responsabilità penali nei confronti di uno o più appartenenti alle forze dell’ordine il ministero dell’Interno si costituirà parte civile”. Una certa prudenza era trapelata anche sul web.
I gruppi dedicati all’ex detenuto negli ultimi giorni si erano moltiplicati. Ma chi temeva una sommossa web-based o qualcosa di simile è rimasto deluso, le proteste sono state nei limiti della decenza e assolutamente civili. Finalmente un esempio positivo da quei migliaia e migliaia di utenti che troppo di frequente vengono tacciati di fanatismo o eccessi rivoluzionari. Qualcosa da ripensare comunque c’è.
Il primo nodo da sciogliere riguarda i tempi della giustizia. Otto giorni – oltre a un certo clamore sui media – sono un tempo congruo per esaminare un caso? Da non dimenticare che la vicenda presenta sì qualche ombra ma nel complesso sarebbe di facile lettura, considerando anche la presenza di un filmato che indica in maniera chiara come si sono svolti i fatti, almeno nel loro epilogo. Inoltre le altre 7 persone arrestate insieme a Gugliotta sono ancora a Regina Coeli, in attesa di chiarire la propria posizione.
Difficile non pensare poi al contesto in cui è svolto l’arresto. Per la finale di coppa Italia fu chiusa una intera parte di Roma intorno allo stadio dalle 4 di pomeriggio e furono mobilitati migliaia di agenti. Per una partita di calcio. Anche qui il rischio di cadere nella retorica è alto, ma non si può ignorare che lo sport dovrebbe essere prima di tutto uno svago e una festa.
Gli elementi coinvolti in una storia giudiziaria, per fortuna finita, sono molti. Impatto della società, gestione della sicurezza, valori sportivi, trattamento carcerario, influenza dei media e così via. In un puzzle con tessere così piccole e legate una all’altra è facile che un solo pezzo, se si smarrisce, possa rovinare l’intera composizione. L’attenzione deve perciò rimanere alta o il gioco (del calcio), per l’ennesima volta, rischia di rompersi.