Storia di Boris Pasternak, quando la letteratura raccontava la libertà

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Storia di Boris Pasternak, quando la letteratura raccontava la libertà

19 Ottobre 2008

L’assegnazione dei premi Nobel 2008 segna il cinquantesimo anniversario del Nobel per la Letteratura più "avventuroso" della storia. Protagonista delle vicende è lo scrittore russo Boris Pasternak, vincitore del prestigioso riconoscimento nel 1958: assegnato per miracolo grazie all’intercessione della Cia, il premio si scontrò con il rifiuto forzato dello scrittore che morì due anni dopo, povero e perseguitato dal governo del suo paese.  Pasternak – classe 1890 – aveva l’arte nel sangue: il padre era pittore, la madre pianista. Nel salotto di casa, il futuro scrittore vede passare il meglio dell’intellighenzia russa: artisti, musicisti e scrittori (tra questi anche Lev Tolstoj), tutti amici e collaboratori dei genitori. La narrativa, però, non fu un approdo naturale: prima seguì le orme della madre, studiando pianoforte; poi, dopo aver girato l’Europa da studente di filosofia, si diede ai versi. Ma tra Pasternak e il romanzo – la forma artistica che lo porterà al Nobel – si frappone ancora la più grande tragedia del secolo: la Seconda Guerra Mondiale.

Ed è proprio la guerra a far emergere la vena narrativa dello scrittore, incentrata – in quello che sarà il suo primo e unico romanzo – sulla storia russa del ‘900. Protagonista del "Dottor Zivago" (immortalato sul grande schermo da David Lean nel 1965) è il medico Yuri, di rientro a Mosca dopo aver combattuto nella Prima Guerra Mondiale. La disfatta russa in guerra è segnata dall’ascesa al potere di Lenin e dei bolscevichi: un momento glorioso nella mitologia dell’Unione Sovietica, ma non nel romanzo in questione. Zivago, infatti, fugge da Mosca con la famiglia e si rifugia sugli Urali: qui si innamora di Lara, una bella crocerossina incontrata durante la guerra, prima di finire nelle mani dei bolscevichi. Tra Storia e amore, ai censori sovietici non sfugge certo il nucleo fondante del libro: la condanna dell’ideale bolscevico, nell’ottica di Zivago – e di Pasternak – fonte di sofferenza e miseria per il popolo russo.

Niente da fare: Pasternak è un dissidente, il suo libro in Russia non può uscire. Ed è qui che entra in gioco Giangiacomo Feltrinelli: entrato in possesso del manoscritto, lo pubblica in esclusiva mondiale il 23 novembre 1957 – scontrandosi così con il Partito Comunista Italiano, vicino alle posizioni dell’Unione Sovietica. Dall’Italia, il romanzo di Pasternak si diffonde in tutto l’Occidente fino a divenire il simbolo della realtà sovietica: una realtà raccontata con tanta maestria da colpire l’Accademia svedese, che decide – su indicazione di Camus – di premiarlo con il più alto riconoscimento cui uno scrittore possa ambire. Pochi giorni prima dell’assegnazione, però, sorge un problema: qualcuno fa notare che per ricevere il Nobel le opere di un autore devono essere regolarmene pubblicate in lingua madre. Ma "Il Dottor Zivago" in Russia non ha mai visto la luce: stando al regolamento, dunque, il premio non può essere consegnato.

Quando tutto sembra perduto, a scomodarsi è la Cia in persona: il premio Nobel a un dissidente sovietico, in piena guerra fredda, è per gli Stati Uniti una missione cruciale. Venuti a conoscenza della presenza di un dattiloscritto del "Dottor Zivago" in russo a bordo di un aereo – secondo la ricostruzione del ricercatore russo Ivan Tolstoj – i servizi segreti dirottano il volo a Malta: l’opera viene fotografata dagli agenti pagina per pagina, per poi essere pubblicata su carta russa secondo le norme tipografiche sovietiche. Missione compiuta: la Cia ha beffato il Kgb, il Nobel può essere assegnato.

L’annuncio ufficiale dell’assegnazione del premio a Pasternak – "Per il suo notevole successo tanto nella poesia contemporanea quanto nel campo della miglior narrativa Russa" – è datato 23 ottobre 1958. Due giorni dopo, Pasternak invia all’Accademia un raggiante telegramma: "Immensamente riconoscente, toccato, orgoglioso, incredulo, imbarazzato". Parole molto diverse da quelle contenute nel messaggio che segue di lì a pochi giorni: "In considerazione del significato attribuito a questo premio dalla società in cui sono nato, devo rifiutare questo immeritato premio che mi è stato conferito. Vi prego di non accogliere il mio volontario rifiuto con dispiacere". È una piccola vittoria per l’Unione Sovietica: dopo pressanti minacce da parte del Kgb – in caso di ritiro del premio, Pasternak non sarebbe più stato ammesso in URSS e le sue proprietà sarebbero state confiscate – lo scrittore si trova costretto a lasciare il Nobel in Svezia.

Ma il senso del riconoscimento non cambia: l’Accademia annuncia che "questo rifiuto, ovviamente, non altera in alcun modo la validità del premio". Con o senza premiazione alla presenza dell’autore, uno tra i più celebri dissidenti sovietici resta il premio Nobel per la Letteratura del 1958. La vita di Pasternak giunge alla fine due anni dopo: sono due anni di sofferenza e povertà, sotto la costante minaccia dei servizi segreti sovietici. Per trent’anni, in Russia "Il Dottor Zivago" resta segreto: verrà pubblicato solo nel 1988, nel clima di riforme promosse da Gorbaciov. L’anno seguente, il crollo del muro di Berlino segna la fine dell’Unione Sovietica. Nello stesso anno (siamo nel 1989) Evgenij Pasternak – figlio di Boris – si reca a Stoccolma, da libero cittadino, per ritirare il premio assegnato al padre 31 anni prima. Un piccolo segno, che sancisce la vittoria di Libertà e Letteratura sull’oppressione politica.